Roma
Silvia Romano, la liberazione di Aisha e l'imbarazzo per l'entusiasmo di Conte
di Andrea Augello
Il caso del rapimento e della successiva liberazione di Silvia Romano si presta a diverse riflessioni, fin qui sfuggite al dibattito animato dai media.
Sgombriamo il campo da alcuni aspetti pittoreschi della vicenda, eccessivamente enfatizzati da diversi commentatori. L’abbigliamento esotico della ragazza, la sua conversione all’Islam durante la prigionia, la vera o presunta relazione che avrebbe intrattenuto con uno dei carcerieri e il suo nuovo nome, Aisha, moglie preferita di Maometto, sono tutti elementi relativamente ricorrenti in casi di sequestri del genere e non da oggi: l’intero corpo dei Giannizzeri turchi, fondato nel XIV secolo, si basava sulla leva di giovanissimi cristiani, rapiti nelle città mediterranee dell’Europa meridionale, convertiti all’Islam in prigionia e quindi arruolati con nomi islamici nella milizia ottomana. Destini non diversi aspettavano le giovani fanciulle cristiane rapite dai pirati turchi e avviate nei serragli dell’Impero Ottomano dove a volte, previa conversione e durissima competizione con le altre mogli presenti nell’harem, riuscivano anche a raggiungere posizioni di una certa influenza nel complicato mosaico del potere nel sultanato ottomano.
Insomma, la nostra giovane volontaria non lo sa, ma il suo non è un percorso originale; così come è già successo, nella cronaca nera del Belpaese, che un sequestrato finisse col far proprie le ragioni dei suoi carcerieri, per un noto processo psicologico ricorrente in queste circostanze. Tutte circostanze secondarie rispetto al fatto che alla fine la ragazza è sana e salva e ha potuto riabbracciare la sua famiglia.
Quel che invece risulta davvero insolito, è che la liberazione di un ostaggio, dietro pagamento di un riscatto, verosimilmente a spese della fiscalità pubblica, venga presentato con entusiasmo autocelebrativo dal premier di un Paese occidentale.
Il Presidente Conte, accanto alla sciagurata ragazza, bardata come il banco di stoffe di un tappezziere di Mogadiscio, si è proposto come rappresentante dello Stato “liberatore” di ostaggi, arrivando persino a dichiarare con enfasi che la poco edificante vicenda dimostrerebbe che “lo Stato c’è” e non lascia indietro nessuno.
Un atteggiamento ridicolo e pericoloso per ragioni che è facile comprendere a chiunque. Sul fatto che la liberazione sia frutto del pagamento di un riscatto abbiamo la conferma dei rapitori, che in un comunicato hanno anche spiegato che i proventi verranno investiti nella lotta armata, contro una poco convinta smentita di Di Maio, che oltretutto non spiega come mai la ragazza sia stata liberata. Dunque, se davvero i nostri 007 hanno versato qualche milione di euro ai rapitori, si pongono dei problemi che non possono rimanere ignorati.
Per cominciare nel nostro ordinamento, dal 1991, è di fatto impedito ai cittadini italiani pagare un riscatto in caso di sequestro: la Magistratura ha il potere di bloccare i conti alle famiglie dei sequestrati e di impedire il pagamento delle somme pretese dai rapitori: una legislazione dura, che però ha portato risultati significativi mettendo fuori gioco un settore fiorente della malavita che aveva caratterizzato il debutto della banda della Magliana e imperversato per decenni dalla Sardegna all’Aspromonte.
Nonostante Onu e Usa consiglino la medesima linea dura, quando il sequestro avviene all’estero i governi occidentali tendono invece a pagare, salvo qualche raro tentativo di liberazione manu militari. Tuttavia si tratta di operazioni gestite con discrezione, sia perché è pericoloso per l’incolumità di tutti i cittadini occidentali che si trovano in zone calde far comprendere che i governi europei sono pronti a pagare milioni di euro cash a qualunque banda di straccioni capace di realizzare un sequestro, sia perché questa disponibilità risulta poco comprensibile alle opinioni pubbliche, soprattutto quando i rapitori sono identificati in un gruppo terroristico. Nel caso specifico italiano c’è poi il tema delle famiglie che hanno subito un sequestro e a cui è stato impedito di pagare, che apprendono dalla televisione che tale legislazione non vale per i volontari internazionali, neppure quando sposano la causa dei rapitori. Il che ammette il bizzarro principio che i cittadini, costituzionalmente uguali di fronte alla legge, possano acquisire o perdere diritti a seconda di dove vengono sequestrati e di chi li sequestra.
Inoltre Silvia Romano è stata “salvata” dai servizi turchi, non dai nostri, che gentilmente si sarebbero prestati a farci conoscere il catalogo dei prezzi dei rapitori e ad effettuare per nostro conto la transazione. Perciò, esattamente, di cosa era tanto entusiasta il Presidente Conte andando a ricevere la figliola prodiga rientrata in patria? Se lo è chiesto anche il Presidente di Amref, Mario Raffaelli, sottolineando quanto questa spettacolarizzazione sia stata pericolosa e inutile.
Aggiungo infine una riflessione. In gran Bretagna si discute da tempo della possibilità di imporre, oltre alle assicurazioni sanitarie, anche un’assicurazione contro i sequestri nei Paesi a rischio. In Italia una polizza del genere sarebbe addirittura vietata per legge. Ma se poi si pagano i riscatti con milioni di euro a spese dei contribuenti, forse bisognerebbe ripensarci. Se il cooperatore è un cittadino speciale, che non può essere messo a rischio con una linea dura e coerente di blocco dei riscatti, come invece accade per i suoi connazionali in patria, allora molto meglio pretendere dalle Ong di farsi carico degli oneri di un’adeguata polizza di copertura dal rischio sequestro.
Da molti anni esistono infatti polizze K & R, acronimo che sta per Kidnap and Ransom insurances che coprono il costo del riscatto, le morte o l’invalidità durante la fase di detenzione del rapimento e persino la distruzione o la dispersione dei soldi stanziati per ottenere il riscatto. Sembra un prodotto assicurativo molto sui generis, ma pare una soluzione comunque meno paradossale che assistere a eventi contraddittori, come il ritorno di Aisha in Italia, che hanno provocato sconcerto nei social e in molti italiani persino il dubbio – maligno - che un giorno lei e il suo ormai ricco sequestratore - quello che l’avrebbe iniziata alla rivelazione del Corano – si potrebbero ricongiungere in qualche bella metropoli del Golfo persico per costruirsi una serena famigliola con una quota del malloppo estorto agli esausti bilanci nazionali.
Uno scenario grottesco e paradossale, coerente con la cornice di insulti e persino minacce comparsi sui social media in questi giorni, figlio di pregiudizi e di tante incomprensioni verso quella che rimane, dopo tutto, la vittima di un rapimento, ma tirare fuori lo Stato da questi pasticci e spostare il rischio su una bella compagnia assicurativa sarebbe forse una scelta sensata e giusta, il cui onere ricadrebbe sulle sole Ong.