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Roma
“Sposata con un divorziato, per la Chiesa sono out”. La lettera-denuncia

Da una lettrice riceviamo e pubblichiamo

Gentile Redazione di Affaritaliani,
ho 35 anni, sono romana e sono sposata civilmente con un uomo divorziato. Alcuni giorni fa, ho chiesto l'autorizzazione per fare la madrina di battesimo al bimbo della mia più cara amica ma la Chiesa me lo ha negato.

 


Vi scrivo sperando che possiate pubblicare la mia lettera, perché penso che la mia esperienza sia condivisa da parecchie persone che, loro malgrado e per vicissitudini della vita impossibili da calcolare, soprattutto quando c'è di mezzo l'amore, vengono escluse da chi dovrebbe tenere sempre le braccia aperte, ovvero la Chiesa.

Alcune settimane fa mi sono rivolta alla mia parrocchia di appartenenza, quella del Divino Amore, per chiedere l'autorizzazione a ricoprire l'importante compito di madrina di battesimo. Sono andata in chiesa e ho chiesto di parlare con il parroco. Ma per abbreviare l'iter, la signora della segreteria mi ha consegnato il modulo da compilare e ha fermato il primo prete di passaggio in quel momento affinché lo firmasse.
Non appena mi sono accorta di quali fossero le condizioni per poter ricevere l'autorizzazione, ho fatto presente che, per ragioni che avrei voluto spiegare al parroco, il matrimonio che ho contratto quasi dieci anni fa con l'uomo della mia vita, non è religioso ma solo civile.

A quel punto, il modulo mi è stato praticamente strappato di mano: dopo alcune insistenza, sono riuscita a farmi ricevere dal vice parroco: con grande onestà e lealtà, ma anche con un imbarazzo crescente, ho raccontato la mia esperienza. Quella di una donna che ha sposato, diversi anni fa, un uomo già divorziato e con cui condivide un matrimonio felice nonostante le mille difficoltà della vita. Ho raccontato anche di come, per poter vivere al meglio la nostra unione, quando abbiamo deciso di sposarci, abbiamo scelto di frequentare un corso matrimoniale presso la parrocchia di un brillantissimo sacerdote.
Il giovane vice parroco mi ha ascoltato per poi liquidarmi con poche parole: “Sa, io sono il vice parroco, non posso prendermi questa responsabilità, deve parlare con il parroco, ma ora è occupato. Mi lasci il suo numero e la faccio richiamare”.

Vado via e aspetto la telefonata. Ma il telefono non squilla e così, decido di chiamare io. Con la stessa umiltà e onestà, racconto al parroco di nuovo i sentieri della mia vita. Poi aggiungo: “Mi piacerebbe molto poter realizzare il desiderio di fare la madrina di battesimo. È possibile avere questa autorizzazione?”. Mi risponde: “Vede, il modulo da compilare non è un documento ufficiale, ma un'autocertificazione. Ora di fronte alle sue parole, io non me la sento di firmare una falsa dichiarazione”. E aggiunge: “Vede, spesso vengono persone che convivono o sono divorziate ma non lo dicono, noi non lo sappiamo e così il modulo viene firmato....”.

Non posso credere alle sue parole. Neanche troppo velatamente io prete mi stava dicendo che se avessi omesso di raccontare i fatti miei, senza metterlo nella difficile situazione di dover prendere una decisione “fuori dagli schemi”, sarebbe stato molto più semplice, e avremmo perso molto meno tempo. Non resisto: “Scusi, ma lei mi sta dicendo che avrei dovuto mentire? Che avrei dovuto fingere? E il valore dell'onestà non conta nulla? E le parole ripetute da Papa Francesco su una  necessaria “apertura” da parte della Chiesa e su una elasticità che vada oltre le regole prestabilite non contano niente?”. Risposta: “Il Signore avrà senz'altro apprezzato la sua onestà ma io non posso fare nulla”. Amen.

Attacco il telefono. Il sangue mi ribolle nelle vene. Rileggo le “condizioni” che decreterebbero la mia “idoneità” per fare la madrina: “Aver compiuto 16 anni, essere stata battezzata, cresimata e di aver ricevuto la Prima Comunione, di non aver contratto matrimonio solo civile, né di convivere, né di aver procurato il divorzio, di non essere il padre o la madre naturale del battezzando, di impegnarmi a condurre una vita cristiana confrome alla fede e all'incarico che mi assumo”. Basta così. Una dichiarazione standard che non prevede deviazioni, aggiustamenti, modifiche. Un modulo che pietrifica uno status, la vita stessa che invece è così piena di una miriade di sfumature.

Il 25 ottobre Papa Francesco a ribadito parole che aveva già pronunciato: “La rigidità non aiuta il Regno di Dio. Il Regno di Dio non è una struttura fatta di 'fissismo' o di rigidità, perché è in cammino tutti i giorni'. Fotografando una delle difficolta' della Chiesa nel seguire "i segni dei tempi”, Papa Francesco ha detto: "Qual e' l'atteggiamento che il Signore chiede da noi, perché il Regno di Dio cresca e sia pane per tutti e abitazione, anche, per tutti?", si è chiesto il Papa, che ha risposto: "La docilità". Ecco, la docilità dello Spirito.
Mi sono chiesta quanto tempo ci vorrà prima che le parole di un Papa illuminato come Francesco possano diventare realtà, possano diventare anche le parole dei tanti preti e parroci che hanno la missione di stare vicini alla gente. Vi confesso ora cosa ho fatto alla fine: ho preso appuntamento con il parrocco di un'altra parrocchia, ho chiesto l'autorizzazione per poter fare la madrina di battesimo. Ho omesso la mia storia e ho avuto tra le mani la mia autodichiarazione firmata.

Consapevole del mio gesto e anche dell'incarico che mi sono assunta, metterò tutto il mio impegno a stare vicino ed aiutare i genitori ad educare con valori cristiani il mio “figlioccio”.

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