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Roma
Strappo Garcia, processo al Ds Sabatini. Giallorossi: più gossip che pallone

di Francesco Ciccolella


Via Garcia, torna Spalletti. Ci risiamo. Il quinto allenatore in cinque anni. Stagioni ricche di delusioni e povere dal punto di vista delle soddisfazioni sportive, includendo ovviamente lo zero nella casella dei trofei vinti con Luis Enrique, Zeman e la parentesi Andreazzoli culminata con la drammatica finale di Coppa Italia del 26 maggio 2013.
In città si stanno vivendo in queste ore tanti stati d'animo, che vanno dalla gioia di molti (non di tutti) per l'esonero di Garcia, alla curiosità per il ritorno sulla panchina di Luciano Spalletti, già nella Capitale dal 2005 al settembre 2009. Ma c'è anche tanta rabbia, perchè quando un allenatore viene allontanato, praticamente sempre ciò coincide con la mancanza dei risultati della squadra. E, in questo momento, la Roma è quinta in classifica con una rosa che ad inizio stagione era da tutti accreditata come la principale favorita allo scudetto.
“I calciatori li scelgo io, al massimo posso consultarmi col tecnico”. Parole e musica di Walter Sabatini, direttore sportivo giallorosso, da qualcuno individuato però come il vero deus ex machina delle sorti romaniste. Se è vero, come è vero, che la rosa viene costruita interamente dal ds, che opera senza che nessuno possa opporsi al suo lavoro, le colpe che in questo momento sono tutte accollate al francese, in realtà dovrebbero avere un altro destinatario. Per far si che un tecnico possa lavorare nel migliore dei modi, è chiaro come il materiale umano e tecnico debba per forza di cose essere quello che lui ritiene il più idoneo. Se si chiede invece solo di allenare delle figurine scelte da altri, lo si delegittima in partenza. Le carenze di Garcia sotto tanti punti di vista sono evidenti, ma le responsabilità dell'ex dirigente di Lazio e Palermo sono altrettanto tangibili.  
Non solo il rettangolo verde. Altro aspetto sul quale la gestione della “cosa sportiva” non ha per nulla convinto è la vita fuori dal campo che alcuni calciatori sembrano fare. Visti spesso a tirare le ore piccole nelle discoteche della città, raduni bollenti in noti ristoranti per cene pre-serata, il tutto confermato da Cole, terzino inglese fuori rosa che in una recente intervista ha ricordato come lui a Roma si senta “uccel di bosco e libero di fare ciò che vuole per godersi al meglio la vita”. Colui che viene ritenuto l'uomo forte della proprietà americana di certo ha poco vigilato su tutto ciò, facendo passare la società perlomeno come poco propensa a regolare i ritmi di vita che tutto sembrano tranne che di professionisti ligi al dovere.
Dalle stelle alle stalle. Se all'inizio della sua gestione, nell'estate del 2011, Sabatini ha saputo ricostruire una squadre dalle macerie della presidenza Rosella Sensi, nel corso degli anni la continua compravendita di calciatori ha creato più confusione che benefici. Vero che spesso le cessioni hanno portato nelle casse della Roma liquidità fresca da reinvestire sul mercato, ma spesso i giovani che lui stesso ha strapagato si sono poi rivelati dei flop. Ultimo in ordine di tempo il caso di Iturbe, strappato a suon di milioni di euro alla concorrenza della Juve nell'estate 2014, rivenduto nel dicembre appena trascorso in Premier League ad una squadra di terza fascia. E di certo sul campo di calcio non ci si possono mettere i sacchetti gonfi di banconote. Lo scorso gennaio, con la squadra reduce dalla vittoria di Udine e ad un solo punto di distanza dalla capolista bianconera, il mercato ha visto gli arrivi di Ibarbo, Doumbia e Spolli, tre carneadi che non hanno lasciato il segno nel campionato, conclusosi con un soffertissimo secondo posto.
Il presidente Pallotta, nell'attesa dell'incontro a Miami con Spalletti, di certo avrà parecchie gatte da pelare da qui a giugno. Una delle domande che certamente dovrà porsi è se, visto questo lustro di vacche magre, fanno male i tifosi ad essersi allontanati dall'Olimpico, a fischiare una squadra che sul campo non da più emozioni se non quelle più negative, con l'attuale management che non sembra poter fa nulla di più di quanto fatto fino ad ora.

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