Roma
Teatro Valle, la denuncia di Francesco Giro: chiuso da 10 anni, una vergogna
Il senatore Francesco Giro ripercorre la vicenda dello storico teatro oggetto di una famosa occupazione abusiva
di Francesco Giro
In pochi lo sanno ma il palcoscenico più antico e più prestigioso di Roma è chiuso da quasi 10 anni. È il Teatro Valle, inaugurato nel 1727, una sala realizzata dall’architetto Morelli su commissione del marchese Capranica.
Qui Gioacchino Rossini presentò in prima assoluta la sua “Cenerentola” (1817) e sempre sulle tavole del Valle debuttò un’opera fra le più note di Luigi Pirandello, “Sei Personaggi in cerca d’autore”, accolta tuttavia dal pubblico romano in modo contrastante, con lo scrittore costretto ad abbandonare il teatro da un’uscita secondaria. Al Valle si sono cimentati tutti i grandi artisti italiani del secolo scorso: Paolo Stoppa, Rina Morelli, Tino Carraro, Gabriele Ferzetti, Nora Ricci, Adriana Asti, Mariano Rigillo, Franca Valeri, Gigi Proietti, solo per citarne alcuni. Ma su tutti vorrei ricordare il debutto di una giovanissima Eleonora Duse nella ‘Teresa Raquin’. Insomma un teatro di prima grandezza. Tant’è vero che addirittura Alexandre Dumas nel suo celebre “Conte di Montecristo” fece preferire al suo Edmond Dantès, durante un carnevale romano, una serata al Valle e non a L’italiana in Algeri, programmata al teatro Argentina. Un dualismo fra i due teatri durato fino ai giorni nostri e reso più avvincente dalla loro vicinanza fisica.
E se il Teatro Argentina è oggi, da 50 anni, il teatro stabile di Roma, proprio il Valle lo fu prima di lui, dal 1962 al 1970. E in quegli anni andarono in scena spettacoli memorabili come “Il Giardino dei Ciliegi” per la regia di Luchino Visconti, “Vestire gli ignudi” diretto da Patroni Griffi, la “Fedra” di un giovanissimo Luca Ronconi. Ma come ho detto questo gioiello della scena e dell’architettura teatrale oggi è un fossile, abbandonato nel reticolo urbano della città storica. Quasi non ci si accorge più di lui.
Gli si passa accanto per proseguire, diretti altrove, al Pantheon, a piazza Navona o al suo vecchio rivale, il teatro Argentina, distante pochi passi. Guardare oggi la facciata del Valle nel suo degrado, eppure ancora così dignitosa, a me personalmente riempie di rancore. Anche perché da Sottosegretario ai Beni Culturali ho vissuto l’inizio del declino e ne conosco le cause. Nel 2010 il mio Ministero decise la chiusura dell’ETI, Ente teatrale italiano. Fondato nel 1942 svolse una meritevole attività per la promozione del teatro di prosa, in Italia e nel mondo, raggiungendo degli ottimi risultati fra gli anni 60-70. Negli anni ‘80 l’Ente diventò pletorico, costoso, inefficiente. Assorbiva ogni anno 12-15 milioni di euro, sottratti al FUS, il Fondo unico per lo Spettacolo, ma non sembrava più in grado di gestire negli ultimi anni una rete di quattro teatri restati sotto la sua gestione: la Pergola di Firenze e il Valle, entrambi di sua proprietà; il Duse di Bologna e il Quirino di Roma in affitto. Trovata una soluzione per gli altri tre teatri, coinvolgendo i privati per il Duse e il Quirino e creando un Fondazione con il Comune di Firenze per la Pergola, al Valle di Roma si è invece aperta una vicenda, a mio avviso, di una gravità inaudita i cui responsabili sono rimasti ad oggi tutti impuniti.
In un paese normale e minimamente rispettoso delle regole costoro sarebbero stati perseguiti e condannati penalmente. Ma torniamo ai fatti. Chiuso l’Ente teatrale italiano, risolto il problema per i teatri di Firenze e Bologna e per il Quirino di Roma, il Valle venne occupato in modo proditorio da un manipolo di attori, registi, operatori dello spettacolo. Accusarono il Ministero dei Beni Culturali di voler svendere lo stabile ai privati per farne addirittura un bistrot, tradendone il carattere di bene comune. Falsità e solenni idiozie, alimentate dalla solita ideologia cialtrona, di una sinistra salottiera che non aveva minimamente a cuore il bene, questo sì, “comune” di una città come Roma e del suo patrimonio culturale. Ma io non fui sorpreso. Un'accusa simile ci venne rinfacciata quando, sempre il governo Berlusconi e l’allora Ministro dei Beni Culturali Bondi, decisero di promuovere il restauro integrale del Colosseo a costo zero per lo Stato e per i contribuenti italiani grazie ad una importante sponsorizzazione della Tod’s Spa, 25 milioni di euro devoluti dall'azienda di Diego Della Valle, famosa nel mondo soprattutto per le sue calzature, un'eccellenza del nostro made in Italy. Anche per questa operazione che - come è noto - si è conclusa con successo, la sinistra anzi “i sinistri” ci accusarono di voler svendere il Colosseo allo “scarparo delle Marche”, avendo ovviamente previsto dei vantaggi fiscali per lo sponsor e un uso esclusivo delle immagini del restauro.
Oggi il risultato è davanti agli occhi di tutti: il Colosseo restituito al suo originario splendore, nei prospetti esterni (facciate), negli ordini architettonici (anelli interni), negli ambulacri (passaggi, camminamenti, corridoi) e negli ipogei (sotterranei). Oggi gli stessi “sinistri” si vantano di questo restauro dimenticando i meriti dei suoi artefici, Berlusconi e Alemanno.
E da questo successo, il modello Colosseo, è addirittura nata la legge cosiddetta dell’Art Bonus sulla fiscalità di vantaggio per chi volesse investire, come fece Della Valle per il Colosseo, in operazioni di restauro conservativo dei beni culturali. Questa la sinistra italiana. Che prima aggredisce e usa persino le Procure per osteggiarti e poi si ravvede, tardivamente e facendo finta che nulla sia accaduto nel frattempo. Tornando al Teatro Valle. L'occupazione durò 38 mesi! Dal 14 giugno del 2011 all'11 agosto del 2014. Tre lunghi anni. Basterebbe leggere il documento degli occupanti per comprenderne il delirio che tuttavia non fu in alcun modo contrastato dai nostri intellettuali. Ecco di seguito il testo: “il 14 giugno 2011 abbiamo occupato un teatro del 1727 per attuare una rivolta culturale. Siamo in continua trasformazione. Occupare è una pratica politica collettiva, un gesto di riappropriazione che istituisce uno spazio pubblico di parola. Continuiamo ad occupare il Teatro Valle perché il gesto si trasformi in un processo costituente: per attivare un altro modo di fare politica senza delegare; costruire un altro modo di lavorare, creare, produrre; affermare un’altra idea di diritto oltre la legalità; sviluppare nuove economie fuori dal profitto di pochi. Dalle lotte sull’acqua pubblica e dall’incontro con i giuristi Ugo Mattei e Stefano Rodotà nasce un’intuizione: che la categoria dei beni comuni possa aprire uno spazio d’azione tra la logica del profitto dei privati e l’asfissiante burocrazia pubblica. Un terreno che genera connessione tra lotte molto diverse, moltiplicando spazi di confronto e piani del conflitto. Al centro delle pratiche, le relazioni: il fare comune è un’alternativa concreta per sottrarre le nostre vite e il nostro lavoro agli effetti della crisi e delle politiche dell’austerità. Beni comuni come azione di democrazia diretta e radicale: il Teatro Valle si è fatto agorà e la città ci si è riversata dentro. Partecipare in prima persona all’autogoverno di un teatro porta con sé un’altra idea di cittadinanza. Un palcoscenico aperto, un progetto da condividere con compagnie, artisti, operatori, spazi indipendenti di Roma e d’Italia, per sperimentare una progettazione partecipata e una diversa organizzazione del lavoro basata sulla cooperazione. Un luogo di formazione e autoformazione in cui l’accesso ai saperi e la qualità siano garantiti. Una dimensione in cui condividere i bisogni e trasformarli in un fare comune”.
A me sembra un autentico delirio dell’estremismo politico che trova il suo punto di caduta nel principio “di un'altra idea di diritto, oltre la legalità” ovvero l’arbitrio e la violenza politica? E se l’occupazione fosse stata ordita da Casapound? La sinistra avrebbe tuonato. In questo caso è accaduto l'esatto contrario. Coccolati e vezzeggiati, già a settembre, un paio di mesi dopo il loro delitto, gli occupanti venivano invitati a raccontare le loro prodezze addirittura alla 68^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia e, ancora, ricevevano medaglie e riconoscimenti come il prestigioso Premio Salvo Randone, come Migliore Evento dell'anno 2011 con questa assurda motivazione “Dal 14 giugno 2011 il Teatro Valle di Roma con il contributo straordinario di giovani artisti e maestri di pensiero e pratica teatrale è luogo aperto al confronto, al dibattito, alla riflessione, su natura e destino del valore del teatro come bene culturale collettivo. Oggi nel segno della più alta tradizione del teatro d’Arte che la figura di Salvo Randone continua ad incarnare, questo riconoscimento alla rigorosa azione di difesa e di rilancio propositivo di un luogo simbolo della scena nazionale”. Veniva così premiata l’illegalità nel plauso generale e con la complicità della solita nomenclatura e oligarchia culturale. Intanto l’occupazione proseguiva e il degrado del Teatro, che aveva concluso la sua normale stagione teatrale qualche settimana prima dell’assalto degli abusivi, iniziava a mostrare i suoi primi segnali. E non poteva essere diversamente. A tutte le maestranze del teatro fino agli addetti alle pulizie non era più consentita l’ordinaria attività di manutenzione, di controllo delle strutture, di vigilanza e guardiania, di assistenza e monitoraggio degli impianti. In compenso il teatro diventava con il trascorrere dei mesi e delle settimane un centro sociale a 5 stelle , perché veniva frequentato da gruppi disordinati di persone che lì accorrevano a centinaia, stressando le strutture e le suppellettili dello stabile, per incontrare tutte, ma proprio tutte, le star del cinema, della fiction televisiva, della letteratura, del teatro e dello spettacolo che venivano in sala a svolgere, anche a favore di telecamere compiacenti dei TG, le loro arringhe, talvolta irridenti e beffarde contro le pubbliche autorità, discorsi retorici e ripetitivi, frutto del ciclostile arrugginito di un’ideologia ammuffita, che additava nello Stato, nel governo e nella politica i nemici da contrastare, con un linguaggio colmo di luoghi comuni ma soprattutto di falsità. Non ricorderò i nomi di queste star, davvero innumerevoli. Non lo farò per carità di patria, visto come come sono andate a finire le cose. Ricorderò solo che in quella sala gremita di abusivi giunse persino l’indimenticabile e rimpianto Andrea Camilleri. Ho molto amato questo scrittore. Un uomo straordinario per intelligenza e sensibilità.
Proprio per questo rimasi deluso e profondamente ferito dalla benedizione che diede all’ignobile occupazione di un teatro che era di tutti e veniva però sottratto alla comunità per il velleitario narcisismo di pochi. Le sue parole furono nette e per questo inaccettabili. Gli scrissi una lettera aperta ma non ottenni risposta. Compresi allora che Camilleri in quella occasione aveva accanto cattivi consiglieri. Per riascoltare le sue parole basta cercare su YouTube. Erano davvero inaccettabili da un Maestro di teatro come lui. Parole che poi divennero addirittura grottesche, quando la vicenda si concluse tre anni dopo nel modo che tutti oggi conoscono. In pratica questi intellettuali di sinistra accusavano il Ministero e il Comune di Roma di voler compromettere la tradizione culturale del teatro e di volerlo usare per fini meramente commerciali. A questo proposito si è raccontato di tutto. Poco ci mancava che ci accusassero di volerci realizzare un supermercato o un parcheggio a rotazione. Sulla facciata del Valle vennero calati due lunghi ed enormi striscioni verticali che già per la loro presenza costituivano nel cuore della città storica e su uno stabile di tale pregio architettonico uno schiaffo ai romani dando al Valle la pessima immagine di un centro sociale occupato da balordi scappati di casa. Ma peggiore fu lo slogan che per tre anni interminabili fummo costretti a leggere su questi due striscioni “come l’acqua come l’aria” (sul primo) “riprendiamoci il Valle” (sul secondo), ottima sintesi delle follie enunciate nei documenti degli occupanti che, come ho già ricordato, erano ossessivi nella loro coazione a ripetere . E infatti l’unico risultato prodotto da quello che io non ho cessato mai di definire il “Centro Sociale Valle Occupato” fu lo Statuto della Fondazione Teatro Valle-Bene Comune, una mistura neogiacobina, di frasi fatte su bene comune, cultura partecipata, proprietà collettiva, cittadinanza attiva, cooperazione e cura dei desideri e altre amenità del genere. Una scatola vuota, di idee, di valori e di visione. Ma soprattutto di soldi. Roba risaputa, pronunciata da chi in quei mesi di occupazione non era in grado neppure di pagare le bollette della luce del Teatro. Gente irresponsabile che si prendeva gioco della Capitale e del suo patrimonio teatrale. Ma che non sarebbe stata in grado neppure di gestire un circolo culturale di quartiere. A questo proposito è utile ricordare che il costo di gestione del Teatro nel 2011 era di 1,5 milioni di euro, 2/3 destinati al pagamento degli stipendi (21 unità, oltre alle maschere stagionali) e il resto per la manutenzione della sala. Tuttavia il teatro nella stagione 2009/2010 aveva aumentato le presenze del 39%, gli abbonamenti del 35%, i biglietti del 23%. E’ triste che questo manipolo di persone, oltre ad essere suggestionato ed illuso da alcuni big dello spettacolo, che presto si sarebbero dileguati, anche per sfinimento, fosse spalleggiato da un giurista raffinato e intelligente come Stefano Rodotà, evidentemente obnubilato, che arrivò a paragonare la battaglia condotta per questo pseudo Statuto addirittura con la lotta per lo Statuto dei lavoratori negli anni ‘70. “Nella storia italiana - commentò il professor Rodotà nel presentare lo Statuto del Valle, il 18 settembre 2013, dopo due anni di occupazione - vi sono state delle lotte sociali, come quella sullo statuto dei lavoratori (sic!) che hanno avuto un esito istituzionale necessario per fondare ciò che già era stato fatto e per rafforzare le azioni successive da compiere. Il raggiungimento della Fondazione Teatro Valle Bene Comune non è quindi la fine di una lotta ma un passo significativo della lotta stessa verso un ulteriore avanzamento”.
Un linguaggio che ricorda francamente quello di un militante veterocomunista con la sua logica dell’egemonia e dei rapporti di forza, con i settori che tengono e quelli che bisogna ancora conquistare con un ulteriore avanzamento. Lenin non avrebbe detto meglio. Anticaglie ideologiche che fanno rabbrividire o sorridere, dipende dal punto di vista. Ma a questo punto, e per concludere il nostro racconto, è giusto anche ricordare cosa fece la controparte, ossia il Ministero dei Beni Culturali e il Comune di Roma per rispondere alle richieste degli abusivi. Ebbene scelsero il dialogo e agirono subito. Il sindaco Alemanno con il suo assessore alla cultura Gasperini portarono in giunta una delibera che venne approvata velocemente, il 17 giugno 2011, tre giorni dopo l’inizio dell’occupazione. Con la delibera veniva innanzitutto formalizzato il passaggio del Teatro Valle dal Ministero dei Beni Culturali al Comune di Roma tramite un protocollo d’intesa. In attesa che il Comune predisponesse il bando pubblico per l’affidamento del Teatro Valle, la gestione veniva assegnata al Teatro stabile di Roma Argentina che su precisa sollecitazione del Sindaco e dell’Assessore avrebbe dovuto costruire un progetto in grado di unire tradizione e sperimentazione ponendo il Valle al centro di un’ampia collaborazione fra diverse istituzioni culturali della città oltre ai Teatri dello stabile di Roma, l’Argentina e l’India. Ovvero il Teatro dell’Opera, il RomaEuropa Festival, l’Accademia di Danza e i cosiddetti teatri di cintura . E ancora: il Comune di Roma invitò gli occupanti a dare un loro fattivo contributo nella elaborazione del bando che avrebbe segnato il nuovo inizio del teatro Valle. Ebbene la risposta degli occupanti fu un ‘niet’ sovietico su tutta la linea. Non ne volevano sapere. Continuavano ad occupare il teatro, ad autogestirsi, ad organizzare serate e spettacoli, convegni e seminari, chiedendo allo Stato e al Comune “solo” di pagare le bollette. Una vergogna assoluta. La storia ebbe fine come si è detto nell’agosto del 2014 con l’interruzione dell’occupazione, una giornata assai mesta, ben lontana dai toni trionfalistici di tre anni prima, una resa incondizionata di gente uscita sconfitta da un’esperienza scandalosa e fallimentare perché velleitaria e antistorica che pretendeva di gestire senza idee e senza fondi una struttura non solo prestigiosa ma complessa anche per la sua preziosità architettonica. Della Fondazione che il professor Rodotà solo un anno prima aveva decantato rimasero le macerie e le speranze andate deluse degli oltre 5000 soci sostenitori che compresero troppo tardi di aver preso parte ad un nulla giuridico. Oggi il Teatro Valle dopo un nuovo protocollo d’intesa del 2016, necessariamente aggiornato con il Ministero dei Beni Culturali resta ovviamente affidato al Comune di Roma e per la sua gestione al Teatro stabile della Capitale, l’Argentina. Purtroppo anche a causa dell'occupazione fuorilegge durata tre anni il Teatro non ha ancora avviato importanti lavori di ristrutturazione e adeguamento degli impianti che si sarebbero dovuti avviare già dall’estate del 2011 al momento del passaggio al Comune del Teatro. Ai lavori occorre poi aggiungere ora l’accurata ricognizione urbanistica e catastale dell’immobile che oltre ad essere sottoposto a vincoli architettonici stringenti ha presentato non poche difformità catastali. È una storia senza fine. Il Teatro è chiuso al pubblico da 10 anni e oggi con l'emergenza sanitaria da Covid 19, che ne rende comunque indisponibile l'uso, sarebbe stato forse opportuno avviare questi lavori anziché utilizzarlo (come ha deciso Barberio Corsetti, l’ex direttore dell’Argentina e oggi un po’ incredibilmente nuovo consulente artistico dello stesso Teatro) per delle registrazioni radiofoniche di spettacoli teatrali, certamente interessanti ma oggi, mi si perdoni il bisticcio di parole “del tutto fuori luogo in quel luogo”.