Roma
Tutela dell'ambiente: così Zingaretti ha stravolto il patto con Franceschini
Il senatore Francesco Giro parla della bocciatura da parte della Corte Costituzionale del Piano territoriale paesaggistico della Regione Lazio
di Francesco Giro *
La Corte Costituzionale ha cancellato il nuovo Ptpr, il Piano territoriale paesaggistico regionale, della Regione Lazio.
Approvato dal Consiglio regionale più di un anno fa, su impulso della Giunta Zingaretti, con un voto alle cinque del mattino del 2 agosto 2019, il Piano è stato subito impugnato davanti alla Consulta dal Ministero dei Beni Culturali perché la Regione Lazio lo aveva deliberato senza alcun accordo preventivo con lo Stato, così come invece prevede il Codice Urbani sul paesaggio del 2004.
Con il Piano paesaggistico del Lazio del 2019 la Consulta ha anche disposto l'azzeramento di tutti gli atti amministrativi consequenziali. Per i giudici della Consulta la Regione Lazio approvando unilateralmente il Piano ha leso il principio giuridico della leale collaborazione istituzionale. Ma ciò che appare davvero paradossale è che fra Nicola Zingaretti e Dario Franceschini, tanto per dare un nome e un cognome a questa vicenda, l’intesa era stata raggiunta dopo oltre due anni di attività di copianificazione Ministero/Regione. Infatti il Ptpr “adottato” nel lontano 2007 (anche per dare il via libera al famigerato Prg di Roma del 2008 targato Veltroni) si presentava dopo 12 anni finalmente alla fase finale di una complessa procedura per la sua definitiva “approvazione” con l'intesa fatta. Ma ad agosto del 2019 ecco il colpo di mano della giunta Zingaretti, con l'approvazione alle cinque di mattina di un Piano che stravolgeva l'intesa con il Ministero. E oggi a distanza di un anno e mezzo tutto salta per aria e si torna così al Piano solo “adottato” (e a questo punto mai controdedotto e “approvato”) del 2007 che non accontenta nessuno né gli imprenditori e chi volesse intraprendere un progetto immobiliare ma neppure chi si prodiga per la difesa del paesaggio e per la protezione dell’agro romano.
Vero buco nero resta proprio la Città di Roma ancora priva di una tutela degna di una Capitale e dotata di strumenti urbanistici già obsoleti nonostante il suo Prg sia del 2008. Perché il vizio di origine sta proprio nel piano regolatore del Comune di Roma del 2008, voluto da Veltroni, che consacrava il sistema del “pianificar facendo” e delle cosiddette compensazioni, cubature che decollavano da un sito, considerato non più edificabile e che, tuttavia, venivano compensate e quindi recuperate, e talvolta moltiplicate, come accadde nella famosa vicenda di Tor Marancia, atterrando altrove.
L'urbanistica di Veltroni, e prima di lui di Rutelli, in fondo prendeva atto con il nuovo Prg degli accordi già raggiunti fra l'amministrazione del Campidoglio e i possessori dei terreni. E quindi, quando nacque, il Prg del 2008 aveva già come esaurito le proprie previsioni edificatorie limitandosi ad avallarle ora sotto il profilo giuridico-amministrativo. Non era dunque un Prg evolutivo portatore di una visione futura di Città, ma piuttosto un sigillo di decisioni passate. E il modo stesso con cui il Piano di Veltroni venne approvato rivela questa sua strumentalità. Si aveva fretta e anche allora, invece di attendere che la Regione Lazio concludesse la sua procedura di copianificazione avviata nel 1999 con il Ministero dei Beni Culturali per la compilazione del nuovo piano paesaggistico in via di adozione nel 2007, si modificarono i vecchi PTP, i piani paesistici territoriali della Regione, per renderli non contraddittori al Prg. Veniva insomma rovesciata la procedura: era il Prg della Capitale a condizionare il Piano paesaggistico della sua Regione e non viceversa.
È sempre bene ricordare - con un'immagine abbastanza semplificata ma vera - che se il Piano paesaggistico è la mappa dei vincoli che individua le aree edificabili e quelle non edificabili, i Piani regolatori sono le mappe dei mattoni che ti dicono cosa puoi costruire, una scuola, un centro sportivo o commerciale, un edificio residenziale o per uffici e servizi, e così via. Ed è ovvio che il Piano regolatore deve essere rispettoso e fare scopa con la vincolistica del piano regionale. Ecco tutto questo con il Prg di Veltroni veniva bypassato.
Allora io oggi non mi meraviglio se il PTPR regionale - adottato nel 2007 dopo circa 10 anni di trattativa con il Ministero e approvato in via definitiva dopo 12 anni, sempre dopo un lungo lavoro istruttorio di controdeduzioni e valutazioni da parte di tutti i soggetti titolari di interessi (comuni, imprenditori, associazioni, soprintendenze) nel 2019 - sia stato con un colpo di mano modificato in extremis dalla giunta del Lazio e dal consiglio regionale con 4-5 emendamenti votati ad agosto e all’alba.
Tutto ciò è stato ora censurato dalla Corte Costituzionale che riporta indietro le lancette dell’orologio al Piano paesaggistico solo “adottato” del 2007, riaprendo tutti i termini e i giochi per le possibili nuove osservazioni e controdeduzioni al Piano da parte di una pluralità di soggetti pubblici e privati.
A poco serve dunque la frettolosa nota stampa riparatoria della Giunta Zingaretti e del suo assessore all'Urbanistica Valeriani con cui si annuncia - non senza qualche imbarazzo - che è stato già predisposto con il ministero di Franceschini un nuovo schema di accordo per chiudere la copianificazione, visto che la sentenza della Corte Costituzionale accogliendo il ricorso del Ministero stesso ha di fatto annullato 12 anni di lavoro pazientemente portato avanti da Regione e dal Ministero, salvo poi essere gettato al macero nell'arco di una notte da una giunta regionale irresponsabile. E ora la Regione Lazio non ha il suo Piano definitivamente “approvato” ed è in qualunque istante soggetta a vincoli di inedificabilità assoluta calati gerarchicamente dall'alto dallo Stato, con ciò gettando di nuovo nell'incertezza tutti gli operatori economici.
* Francesco Giro, Senatore di Forza Italia e Segretario del Senato della Repubblica