Roma

Uccise la compagna in casa, pena dimezzata in appello: 16 anni al killer

Omicidio Michela Di Pompeo in via del Babuino, la Corte d'Appello dimezza la pena a Francesco Carrieri: “Era seminfermo di mente”

Da trenta a sedici anni di reclusione più tre anni di Rems una volta espiata la pena: condanna quasi dimezzata dalla prima Corte di Assise di Appello di Roma al direttore di banca Francesco Carrieri che nel maggio del 2017 uccise la sua compagna, Michela Di Pompeo, insegnante della Deutsche Schule, nella sua abitazione di via del Babuino.

 

In primo grado Carrieri fu condannato a 30 anni di carcere per omicidio volontario aggravato ma stavolta la Corte gli ha riconosciuto la seminfermità mentale, all'esito di una maxiconsulenza d'ufficio. Fu la gelosia a scatenare il delitto. La donna venne uccisa al termine di una lite con un peso da palestra.

Nel processo di primo grado, la procura aveva spinto per l'attenuante della seminfermità mentale dell'imputato in relazione a un disturbo bipolare, misto a depressione, emerso durante le indagini ed evidenziato dai consulenti tecnici Stefano Ferracuti e Maurizio Marasco. Poi, però, il pm Pantaleo Polifemo aveva rivisto la sua posizione e sollecitato 30 anni di carcere perché Gianluca Somma, l'esperto nominato dal gup, si era espresso per la “capacità di Carrieri di intendere e di volere al momento del fatto”. Insomma, quando Michela Di Pompeo fu assassinata, l'uomo era "lucido e vigile".

In appello, invece, si è deciso di risolvere una volta per tutte il dilemma affidando l'incarico agli psichiatri Gabriele Sani e Massimo Di Genio, i quali, indagando sul passato dell'imputato, hanno individuati i primi sintomi depressivi nel periodo di separazione dalla moglie. Cui si sarebbero aggiunti problemi sul posto di lavoro. La conclusione degli esperti è che Carrieri, quando uccise la sua compagna, "versava in condizioni tali da almeno grandemente scemare la capacita' d'intendere e volere". E, grazie alle cure che ha sostenuto in carcere negli ultimi due anni, "si può escludere la pericolosità sociale in senso psichiatrico, a condizione che non interrompa la terapia".