Un intero quartiere è sparito nel nulla. Ecco le prove del Villaggio Giuliano n.2
di Patrizio J. Macci
Il lettore che digitasse le tre parole "Villaggio Giuliano Acilia" nella più importante enciclopedia on line, non troverebbe nulla se non un flebile rimando in caratteri ascii all'interno della voce "San Giorgio di Acilia".
Scorrendo le voci informatiche verso il basso alcune fotografie provenienti da collezioni di famiglia di alcune piazze, strade che con le architetture del celebre "Villaggio Giuliano", al quale si pensa per primo, quello dell'Eur-Laurentina non hanno nulla a che vedere. Basta un rapido controllo sulle pagine di uno stradario aggiornato per capire che c'è qualcosa che non torna. Ci si trova in direzione del Lido di Ostia. La Via del Mare è a poche centinaia di metri, scorre parallela alla ferrovia Roma-Lido.
Le foto che appaiono riportano in didascalia: "Villaggio Giuliano Acilia 1960". Dunque a Roma, fino a una certa data di "Villaggio Giuliano" ce ne sono stati due. Poi uno dei due è sparito, si è inabissato. Scomparso, cancellato dalle mappe come se non fosse mai esistito. Una comunità di persone che uno scherzo della toponomastica ha rimosso dalle carte e dagli annuari ma non dalla storia della Capitale, ma la cui vicenda nessuno ha mai ricostruito e neppure sfiorato con la penna. Probabimente perché della tragedia degli Esuli Giuliani, e del loro esodo dai territori italiani annessi alla Jugloslavia si parla solo nella ricorrenza del 10 febbraio. Il giorno della memoria di un passato che brucia come carne viva.
Le foto in bianco e nero mostrano un pugno di case dallo stile vagamente razionalista, edilizia popolare dai muri di tufo con infissi in castagno, edificate nel 1955 in parte con i soldi che l'Italia ricevette per il Piano Marshall. La distanza è un chilometro a volo di uccello dalle "Casette Pater" fatte edificare da Benito Mussolini nel 1940.
Visto che la maggior parte delle case vennero assegnate a Esuli Giuliano Dalmati, provenienti da caserme e campi profughi, il nome venne da sè: "Villaggio Giuliano" questo raccontano le cronache striminzite.
La piazza attorno alle quale le case sono disposte a formare un esagono ha il nome di un artista: Giovanni Segantini, così come tutte le altre strade d'accesso: via Carlo Marocchetti, via Ettore Roesler Franz, Via Cesare Maccari; i nomi arrivano nell'estate del 1956, in Campidoglio c'è il Sindaco Rebecchini.
Quando arrivarono gli Esuli non c'era neanche l'asfalto: la via principale, Via di Saponara era uno sterrato bianco tutto intorno una prateria, sembrava di stare nel far west; c'era anche un maneggio di cavalli. L'avrebbe fatta asfaltare Giulio Andreotti ministro della difesa dai militari del Genio alcuni anni dopo. La fettuccia terminava nel nulla come in un film dei fratelli Coen; in una macchia di aperta campagna dalla quale nelle giornate d'estate si poteva scorgere il filo d'argento del mare di Ostia dalla cima dei palazzi.
Chi arrivava, non aveva nulla e trovava il nulla ma intorno a quelle case piccole per dimensioni, senza riscaldamento, costruite in fretta e furia il progettista aveva messo tutto. Il forno, il negozio di generi alimentari, il calzolaio, la farmacia, il medico condotto, anche la Chiesa aveva trovato riparo in un locale al piano terra fronte strada. L'asilo dei bambini in un alloggio, la scuola elementare temporaneamente in alcuni padiglioni prefabbricati di fortuna.
All'inizio degli Anni Settanta un capriccio della storia - alcuni esuli ancora in vita sostengono per futili motivi postali (la corrispondenza indirizzata ai "profughi" residenti al "Giuliano Dalmata" arrivava qui, e viceversa) altri a un parroco con entrature in Campidoglio con Clelio Darida Sindaco- assegna al quartiere il nome della chiesa inaugurata da Papa Paolo VI: San Giorgio di Acilia.
Il colpo di spugna che cancella il Villaggio Giuliano di Acilia è sferrato. Gli esuli cominciano a sbiadire anche dal punto demografico in maniera progressiva. Attualmente a San Giorgio ne restano in vita poco più di una decina, ma i loro cognomi si possono leggere sui nomi dei citofoni, alcuni l'inconfondibile parte terminale in "ch" oppure in "c". Nelle case spesso abitano i loro nipoti e pronipoti.
Ma della loro storia, di quelli che Indro Montanelli definì "italiani due volte, per nascita e per scelta" si rischiava di perdere ogni traccia. Fino a quando nel 2013 un pugno di superstiti ha deciso di rintracciare i cognomi delle famiglie originarie del 1955, e di affidarle al web attraverso un comunicato stampa affidato al Municipio.
La memoria è salva affidata al maelstrom della rete, e non si presta a strumentalizzazioni ideologiche di nessun tipo. Dice un "vecio" seduto al bar novantenne mentre fuma una sigaretta senza filtro, duro come la pietra del Carso: "Chi scappa scappa, non c'è colore che tiene. E noi, scacciati, scappavamo". È un dolore antico il suo che non può essere condiviso, ma solo rispettato e ricordato.