Roma

Una tassa sulla pipì, la Regione Lazio approva. Si pagherà in bar e ristoranti

Tra Raggi e Zingaretti esplode la guerra della pipì a pagamento. Il Comune di Roma dice no; la Regione scrive la legge per far pagare l'accesso ai bagni

di Fabio Carosi

Passerà alla storia come la tassa sulla pipì, ovvero la facoltà prevista per legge con la quale ristoranti e bar di Roma e di tutto il Lazio, potranno chiedere un compenso minimo per far utilizzare i servizi igienici anche a chi non è cliente. Basterà mettere un cartello che indica il costo per usufruire nei bagni.

La rivoluzione della pipì a pagamento, una specie di tassa sui deboli di prostata, oppure un dispetto ai turisti in un città come Roma, è contenuta nella proposta di legge regionale numero 37 del 20 giugno 2018, ovvero il testo unico del Commercio, quel compendio di bizantinismi, liberalizzazioni minimali e orpelli che regola la vita di chi fa negozio, dai centri commerciali alle botteghe storiche e che va in completa antitesi con lo slogan della semplificazione.

Il trucco con il quale la Regione dovrebbe approvare la possibilità di far pagare i bagni degli esercizi pubblici è contenuto nel comma 6 dell'articolo 75, nel quale si norma l'obbligo di pubblicizzazione dei prezzi per i clienti. E qui, per l'ennesima volta il legislatore si schiera contro i consumatori, proteggendo soprattutto la carta dei vini da sguardi indiscreti. Se dall'antipasto al dessert i i prezzi devono essere pubblicizzato fuori dal locale, il vino resta invece un mistero o una sorpresa che il cliente conoscerà solo quando sarà entrato. E si arriva così al comma 6, quello della pipì. Scrive la Commissione regionale che si è peritata di lavorare più di 15 mesi per riordinare le leggi sul commercio: “Qualora il servizio igienico, per i soggetti diversi dalla clientela, sia messo a pagamento, il prezzo dello stesso deve essere reso ben noto attraverso l'apposizione di idoneo cartello”.

Superiamo lo stile letterario della legge che chiede una differenza tra “noto” e “ben noto” che non si capisce quale sia, e persino l'idoneità del cartello non si sa in base a quali criteri, ciò che resta è un pasticcio di dimensioni apocalittiche per chi ha un bar o un ristorante e per i clienti. La traduzione della legge è chiara: bar e ristoranti ma pure pizzerie a taglio o friggitorie, se vogliono, possono far pagare a chi non è cliente l'accesso al bagno, basta che mettano un cartello. E quanto costerà fare la pipì in un bar o in ristorante? E' un mistero. Forse 50 cent in periferia e 2 euro nel centro storico? Oppure? Di fatto siamo di fronte a una liberalizzazione urinaria per la quale non c'è un prezzo indicato, tantomeno una sanzione per chi non rispetta la legge. E così la facoltà di far pagare si traduce in un caos dei servizi igienici.

Ma c'è di più e alla Regione Lazio non se ne sono accorti. Mentre la solerte Commissione riceveva e ascoltava istanze di lobbisti, associazione varie, baristi, camerieri, commercialisti (anche macchinisti e fuochisti per citare Totò) ma anche i sindacati e faceva scorrere il tempo, il Comune di Roma di Virginia Raggi e del Movimento Cinque Stelle varava con la delibera 135 del 5 luglio scorso, il Nuovo regolamento di polizia urbana con il quale scriveva a chiare lettere: “È fatto obbligo agli esercenti degli esercizi pubblici di consentire l'utilizzo dei servizi igienici a chiunque ne faccia richiesta”. L'ha scritto la maggioranza a 5 Stelle di Roma, mentre i colleghi della Regione Lazio introducevano la tassa sulla pipì. I politici non solo non si parlano ma sembra che si facciano i dispetti.

L'iter della proposta è chiaro: approvata all'unanimità dalla Commissione, ora andrà al Consiglio Regionale per il voto definito. Se nulla muta, la pipì potrà diventare anche un bene di lusso.

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