Roma
Una vita al fianco del genio Kubrick. Per premio compare in Eyes Wide Shut
di Patrizio J. Macci
A Londra nel 1970 Emilio D'Alessandro è un emigrato italiano, arrivato in Inghilterra da dieci anni, in cerca di fortuna. Ha la patente di pilota da corsa, gareggia nella mitica "Formula Ford". Proviene da un piccolo paese della Ciociaria dal quale si vede Montecassino. Gli scioperi degli Anni Sessanta gli hanno fatto perdere l'impiego, e il suo conto in banca senza nessuna entrata si è svuotato in breve tempo. Ha svolto decine di mestieri, giardiniere, inserviente in una clinica, assistente cuoco in un ospedale, meccanico, operaio in fabbrica, gestore di una stazione di servizio. Il giorno in cui non ha più soldi per mangiare e pagare il mutuo della casa, compra un quotidiano e risponde alla richiesta di lavoro per autista di vetture a noleggio. Sa guidare con professionalità e possiede un'automobile, minimo impegno e massimo rendimento economico.
Il lavoro ingrana, la sua zona di competenza è quella degli "studios" cinematografici, ci sono funzionari, dirigenti e attori da scarrozzare da una parte all'altra. Per non parlare dei documenti, e ogni tanto anche arredamenti di scena da spostare velocemente da un set all'altro. Una sera fredda e piovosa Emilio accetta di trasportare un "curioso oggetto di porcellana" sul set di un regista di cui non conosce il nome; è l'ultimo servizio della giornata. Terminato il trasporto Emilio torna in Italia, per andare in ferie dopo due anni di lavoro ininterrotto. Ancora non sa che la sua vita è cambiata per sempre. Il destino ha deciso per lui, al suo ritorno in Inghilterra e per i trent'anni seguenti lui e quel misterioso regista non si separeranno più.
Il suo nome era Stanley Kubrick. Da autista personale diventa il suo tuttofare, poi segretario particolare e infine assistente personale nell'ultimo film. Emilio D'Alessandro ha seguito Kubrick in tutti i suoi film da "Arancia Meccanica", passando per i quadri di Barry Lyndon. Ha vissuto l'horror dell'albergo di Shining, riuscendo a sopravvivere alla guerra di Full Metal Jacket. Fino all'ultima pellicola Eyes Wide Shut nel quale Kubrick, per ringraziarlo della fedeltà, lo ha fatto recitare senza accreditarlo nei titoli di coda (è l'edicolante nella New York notturna e gelida nella quale cammina Tom Cruise).
Ha deciso di raccontare la sua storia a un giovane ricercatore italiano, Filippo Ulivieri, il fondatore del sito "archiviokubrick", che ha cucito il patchwork del racconto in un volume pubblicato dai tipi de "Il Saggiatore" dal titolo "Stanley Kubrick e me". Una biografia rigorosa e stilisticamente sorvegliata. Si può cominciare a leggerla senza aver mai visto uno dei suoi film, e all'ultima pagina si finisce per chiamare il regista per nome: Stanley, come fosse una persona di famiglia.
Ora da quel libro è nato un film selezionato per la decima edizione della Festa del Cinema di Roma, "S is for Stanley" di Alex Infascelli. Scritto da Alex Infascelli, Vincenzo Scuccimarra, Filippo Ulivieri e le musiche di John Cummings. Il film è stato girato a Cassino, Londra, St. Albans, agli studi di Pinewood, sul circuito di Brands Hatch e a bordo di una Mercedes 280SL, una delle automobili di Stanley Kubrick dietro al cui volante Emilio ha trascorso svariati anni.
D'Alessandro, che all'epoca non aveva la più pallida idea di chi fosse il regista, così racconta il loro primo incontro ufficiale: "E' un signore sulla quarantina, dall'aria sbrigativa, ha una bella barba riccia e nera. Mi sembrò Fidel Castro". Guardandomi negli occhi disse: "Sono Stanley Kubrick". Nel racconto per immagini si apre uno squarcio di verità assoluta, perché vissuta in prima persona, circa la proverbiale eccentricità di Kubrick, l'infinita ricerca dei dettagli, la segretezza assoluta sul contenuto dei film, il perfezionismo che esaspera tutti e dilata i tempi all'infinito e fa infuriare gli altri produttori, che attendono il loro turno per utilizzare gli studi di posa: "Quando c'è una cosa nuova, Stanley prima vuole vedere se funziona, poi quando funziona vuole sapere come funziona. E quando sa come funziona, vuole capire quando potrebbe non funzionare". Sul set poi -racconta D'Alessandro, Stanley funzionava così: "Gli assistenti preparavano il set, si mettevano in posizione, poi all'improvviso ricevevano l'ordine di smontare tutto perché Stanley si era presentato annunciando di voler girare una scena diversa. Oppure capitavano giornate in cui tutto era pronto, ma lui non si decideva a dare il via alle riprese e tutti restavano fermi ad attendere che lui dicesse cosa fare. Tuttavia poiché dovevo passare molto tempo con Stanley godevo di una prospettiva privilegiata rispetto a tutti gli altri...non c'era nulla di gratuito nelle attese e nei cambi di programma, semplicemente aveva visto qualcosa che non corrispondeva all'idea che lui aveva per la scena, e preferiva aspettare finché tutto non fosse stato proprio come l'aveva concepita. "Barry Lyndon" significò tre anni per tre ore di film".
Questo era Stanley Kubrick, un genio visionario. E poi, la vita privata nella casa grande come un castello, la sbadataggine del regista e la sua maniacale difesa della privacy. A un certo punto negli Anni Ottanta nessuno sapeva più quale faccia avesse Kubrick. Benché fosse uno dei registi più famosi e celebrati, poteva permettersi di circolare nei mercatini a pochi chilometri da casa sua perché nessuno avrebbe potuto identificarlo.
Emilio D'alessandro ha accettato di rispondere alle nostre domande, tra queste alcune che gli spettatori avrebbero voluto porre direttamente al regista scomparso nel 1999, dopo aver terminato di girare insieme a lui l'ultima pellicola.
Ha mai pensato a come avrebbe potuto essere la sua vita, se non le fosse capitato di incontrare Kubrick durante la lavorazione di Arancia Meccanica?
"Stanley è capitato per caso. Mi ha cercato lui, ha voluto lui che lavorassi per la sua società di produzione prima, e per lui personalmente dopo. Io volevo fare il pilota di automobili. Avevo smesso solo perché con gli scioperi avevo perso il posto di lavoro in fabbrica. Non mi avesse trovato Stanley, penso che avrei tentato di tornare a correre in pista dopo aver guadagnato abbastanza per la mia famiglia. Con un lavoro meno impegnativo forse sarebbe stato possibile".
Perché Kubrick era rimasto così colpito dalle polemiche sorte dopo Arancia Meccanica?
"Dopo che i giornali avevano iniziato a fare riferimento ad Arancia Meccanica in ogni articolo di cronaca nera che pubblicavano, alla posta arrivavano sempre più spesso concrete minacce di morte per Stanley, sua moglie e le figlie. Erano lettere con brutte frasi composte con le lettere ritagliate dai giornali, disegni con bombe ed esplosioni, pacchi strani che ticchettavano. Erano cose che non potevano assolutamente essere prese con leggerezza. Stanley parlò con la polizia e con la Warner Bros. e decisero di ritirare il film dalle sale cinematografiche inglesi. Non c'erano altre soluzioni".
Kubrick controllava personalmente anche il minimo dettaglio. Comprese le edizioni dei film nei singoli paesi. Ha mai percepito un'attenzione particolare da parte sua per il nostro paese?
"Stanley diceva che nonostante tutto l'Italia fa sempre dei capolavori. Aveva un ottimo rapporto di lavoro e di amicizia con Riccardo Aragno e Mario Maldesi, a cui affidava la versione italiana dei suoi film, e utilizzò un laboratorio italiano per restaurare i suoi film prima delle edizioni in videocassetta perché si era dimostrato migliore di tutti gli altri che aveva contattato in Europa. Aveva un'ammirazione infinita per Federico Fellini e aveva convocato a casa sua Nino Rota e Ennio Morricone per valutarli come compositori delle musiche per i suoi film. Milena Canonero ha lavorato per tre film con Stanley, era diventata una di famiglia come me".
A. I. è stato girato da Steven Spielberg, ma era un progetto di Kubrick. Dal libro risulta che lei abbia partecipato attivamente alla realizzazione, guidando Spielberg nella caccia al documento all'interno del "castello" di Kubrick. Poi si è parlato di Napoleon, ma c'è qualche progetto per il quale Kubrick aveva solamente vagheggiato un interesse e del quale non è mai apparsa traccia?
"Il mio lavoro per A.I. è stato solo con Stanley. Non ho fatto nulla per il film girato da Spielberg se non ricordare a Jan Harlan dove fosse finito quel disegno con la New York sommersa. Stanley non mi parlava mai dei suoi progetti, se non per caso nei vari discorsi. E non stava a me fare domande. Mi ricordo di un suo interesse molto forte per la Battaglia di Montecassino della Seconda Guerra Mondiale, ma non mi disse esplicitamente che voleva farci un film, anche se le domande che mi faceva assomigliavano a quelle solite di pre-produzione".
Nel suo racconto di Kubrick non c'è mai una frizione con Kubrick. A un certo punto sembrate due gemelli siamesi. Non avete più bisogno di parlare. Ci racconta almeno un episodio inedito nel quale lo scontro è stata molto acceso?
"Io e Stanley non abbiamo mai litigato in trenta anni di vita insieme. Sembra strano ma è così. Infatti, ho litigato più spesso con mia moglie che con lui".
Cosa prova quando vede da solo i film di Kubrick ora?
"Li ho visti una volta quando sono tornato in Italia nel 1994 perché tutti mi dicevano che era troppo strano che non li avessi mai visti. Arancia Meccanica l'ho visto solo a pezzetti, perché so che a Stanley non avrebbe fatto piacere, preferiva sempre non parlarne".