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Roma
Vanità maschile, i segreti degli abiti svelati dall'atelier di Franco Tomei

di Tiziana Galli


Sono in pochi ad ammetterlo, ma la vanità non è solamente un capriccio femminile: i ben informati raccontano che davanti allo specchio sono proprio gli uomini ad indugiare maggiormente. A svelarlo è Francesca Eboli la persona che per quindici anni ha costantemente affiancato il maestro Franco Tomei, fondatore di una delle sartorie più rinomate della “Roma Bene”. Dopo la recente scomparsa del maestro, Francesca ha preso in mano le redini dell’Atelier.


“Come si tolgono la giacca si guardano subito spalle e fondo-schiena, poi il punto vita". I più attenti a forma, tendenze e vezzo sembrerebbero essere i manager e gli sportivi mentre i liberi professionisti amerebbero maggiormente viaggiare sul classico. La sartoria Tomei vanta una tradizione di oltre mezzo secolo avendo avuto i natali negli anni ’60 quando Franco Tomei decise di intraprendere l’attività sartoriale, vestendo da quel momento in poi una clientela sia maschile che femminile, ma mostrando una particolare attenzione al settore maschile.

Cosa deve avere un uomo per dirsi elegante?
“L’eleganza è qualcosa che, prima ancora dell’abito, ha a che fare con la persona”, risponde Francesca Eboli, “è l’essenza stessa della persona. E’ come il profumo per i fiori. Gli uomini, dal punto di vista dell’abbigliamento, hanno poche cose su cui spaziare rispetto alle donne, pertanto, per loro, diventa fondamentale il buon gusto nell’accostamento degli indumenti. Adesso gli uomini stanno riscoprendo il gilet, un elemento funzionale e bello: quando lo si sceglie in tinta con l’abito dà vita ad un outfit formale ed elegante che non lascia spazio a rischi. Diventa invece difficile quando si sceglie un abito “spezzato” dove è fondamentale la scelta dei singoli elementi. Lo spezzato dà libero sfogo alla fantasia dei più creativi, ma presenta ovviamente maggiori rischi. Oggi si tende ad estremizzare tutto: i modaioli richiedono giacche corte con maniche ancora più corte e strette, per esaltare al massimo la silhouette, ma sono scelte estreme. La virtù come al solito sta nel mezzo”.

Qual è la lunghezza ideale per una giacca?
“Una volta la regola aurea diceva che la giacca dovesse arrivare all’altezza della punta del pollice dell’uomo posto con le braccia accostate al corpo. Non deve arrivare a coprire completamente il fondoschiena e non è bello che si veda la tasca del pantalone, ma al tempo stesso se è troppo corta penalizza l’eleganza”.

Quali sono i tessuti di maggior tendenza?
“Oggi si cercano soprattutto stoffe leggere, d’inverno calde ma non spesse. Non si usano più le flanelle inglesi o lo shetland, proprio perché si è molto più esteticamente raffinati ed attenti alla linea. I tessuti devono essere luminosi ma non lucidi. Noi usiamo quasi sempre stoffe di “Loro Piana”.

E le textures?
“Molti hanno rivalutato il “principe di Galles”, nelle più svariate tonalità, o l’ “occhio di pernice”, che è sempre stato un classico; poi sono molto richiesti gli spinati di varie misure e le grisailles; il gessato si preferisce quello stretto”.

I colori?
“L’uomo non si svincola mai dal grigio e dal blu, ma oggi si può orientare il cliente verso sfumature più particolari, come ad esempio il carta da zucchero, o il blu mercurio, offrendo delle alternative al cosiddetto “blu Quirinale” che è il colore dell’abito più formale in assoluto”.

Quali sono le maggiori criticità del lavoro sartoriale?
“Quando si fanno giacche destrutturate, ovvero con pochissima spallina, la lavorazione è più complicata perché la spallina aiuta molto la linea creando automaticamente una bella spalla ed una bella manica. Oggi nove uomini su dieci fanno sport e questo modifica la morfologia del corpo rendendo il lavoro più complesso: in sartoria c’è un vero e proprio studio su questo”.

Un accessorio al quale un uomo elegante non dovrebbe mai rinunciare?
“Dire la cravatta sarebbe banale. La pochette nel taschino, direi: a tinta unita, bianca o celeste acqua, oppure fantasia; può essere a due o a tre punte ed è molto richiesta anche con fantasie sfiziose. Poi è tornato molto di moda il papillon. Molto carine sono le bretelle: sotto l’abito elegante, posizionate sotto il gilet, sono estremamente funzionali. Gli uomini più attenti al look se le fanno sistemare con molta attenzione in modo che il pantalone poggi sempre nello stesso modo sul piede”.

E’ un rapporto molto importante quello che un sarto stabilisce con il cliente, vero?
“La mia soddisfazione viene proprio dalla fiducia con la quale man mano i clienti si lasciano guidare per intero. E’ come se avessero bisogno della mamma e della moglie insieme”.

Ha incontrato molte difficoltà per il fatto di essere una donna, considerando che deve gestire una clientela maschile in mutande?
“Ne ho incontrate all’inizio, perché per alcuni c’era imbarazzo e per altri diffidenza. In questo è stato molto grande il maestro che mi ha aiutato a superare questa difficoltà. Superandole io ho passato un maggior senso di sicurezza anche ai clienti”.

Qual è l’insegnamento più grande che le ha lasciato Franco Tomei?
“Tanti insegnamenti, lavoro ininterrottamente per combattere la nostalgia. Per prima cosa direi la lealtà: il cliente non è un “cliente” ma una “persona” e non va guardato con l’atteggiamento del puro commerciante. Gli va spiegato cosa è possibile fare per il suo abbigliamento e va aiutato a scegliere senza approfittarsi.”

Quanto costa orientativamente un abito sartoriale?
“Dipende da tante cose: la qualità del tessuto, dei bottoni, della fodera; la taglia e le specificità del cliente. Orientativamente un abito sartoriale, di manifattura artigianale, può variare mediamente tra i 1300 e i 1700 euro . Gli abiti con tessuti e dettagli più particolari possono arrivare anche 2400 o 2500 euro”.

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