Roma
Virginia Raggi accanto ai leader nazionali per l'agenda M5S 2021. L'opinione
L'analisi di Giuliano Pacetti: “Virginia Raggi e i riflessi del voto referendario e di quello regionale verso le Amministrative del 2021”
di Giuliano Pacetti *
Con la tornata elettorale e referendaria, tutti i personaggi politici in prima fila devono fare i conti con l’agenda politica dettata dai cittadini con il loro voto. In particolare Luigi Di Maio, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Nicola Zingaretti e Virginia Raggi, saranno chiamati a fare scelte che condizioneranno prospettive personali e delle loro aggregazioni politiche.
La principale considerazione è che le elezioni politiche si terranno quasi certamente alla scadenza naturale, cioè nel 2023. Ciò farà da detonatore nel centrodestra, impegnato com’è a sbranarsi su chi deve rappresentarlo e con i parlamentari di Forza Italia che schiereranno un leader che avrà 87 anni. E le tappe sono ormai scritte: elezioni amministrative nelle grandi città a giugno del 2021, poi a partire dal 31 luglio il semestre bianco e, a seguire, a febbraio del 2022 l’elezione del nuovo Capo dello Stato.
Luigi Di Maio, Con Riccardo Fraccaro e i gruppi parlamentari, ha coordinato l’impresa straordinaria che ha portato al taglio dei parlamentari ed ora apre ai tavoli di confronto: nuova legge elettorale, Recovery fund e scelta dei candidati sindaco a Roma, Bologna, Milano, Napoli e Torino. Il dato elettorale non ha premiato le scelte fatte da dirigenti e candidati del Movimento 5Stelle, che hanno però tutto il tempo per decidere e preparare bene obiettivi e linea per i prossimi 5 anni. Ovviamente, a patto che la si smetta di utilizzare media e social come strumenti di guerra interna e ci si impegni a far valere le proprie ragioni nelle sedi deputate alle singole discussioni, alle quali come portavoce romani non faremo mancare il nostro apporto.
Ed in ciò Virginia Raggi, come sindaca di Roma, la cui ricandidatura è stata già avallata dal Movimento, e come esponente di livello nazionale, dovrà essere parte del dibattito ai tavoli decisionali.
La tornata elettorale ha segnato anche il fallimento dell’ennesimo tentativo del centrodestra di mandare a casa Giuseppe Conte. Anzi, l’aver sbandierato con tracotanza un sicuro 6 a 0 ha finito con rafforzare il Governo e con esso Nicola Zingaretti. La spallata si è quindi rivelata un’autorete che ha dato stabilità al Governo e rafforzato il rapporto tra le forze che ne fanno parte. Ora c’è da gestire il Recovery fund, il tavolo nazionale per le elezioni amministrative del 2021, l’elezione del Presidente della Repubblica del 2022 e tutto questo ci dice che Nicola Zingaretti rimarrà sino alle prossime elezioni politiche Presidente della Regione Lazio. Peraltro, il mandato da segretario di Zingaretti scadrebbe nel 2023, giusto appunto per essere colui che presenterà la lista dei candidati da eleggere al Parlamento.
Le elezioni, poi, ci hanno restituito un Matteo Salvini che stecca in Puglia e in Campania, dove Fitto (Fratelli d’Italia) e Caldoro (Forza Italia) sono stati sonoramente bocciati. Il sospetto che la Lega non si sia impegnata più di tanto su candidati non suoi, ha generato un chiacchiericcio politico nel centrodestra per mancato gioco di squadra. E del resto la tattica di Salvini è abbastanza dichiarata: sparacchia a zero ad ogni elezione con il fine di eleggere consiglieri comunali e regionali, a prescindere dalla reale corsa alla Presidenza o alla Sindacatura. Ve la ricordate la Borgonzoni che prometteva di lavorare h24 per i cittadini dell’Emilia Romagna? Quella dello slogan che in TV a reti unificate prometteva “Resto anche se perdo” per fare il bene dei cittadini. Non ha neanche messo piede in Assemblea regionale e se ne sta su una più comoda poltrona da Senatrice. Sarà forse la stessa strada che percorrerà la Ceccardi? Trattandosi di Lega tutto lascia credere che se ne resterà al calduccio del suo seggio di Parlamentare europeo. Del resto anche Giorgia Meloni dichiarò il suo amore per Roma e poi, una volta eletta, si è vista raramente in Assemblea Capitolina. Comunque, quando si parla della Lega di Salvini persino le promesse del marinaio hanno più valore. Giorgia Meloni lo sa e gli ha fatto sottoscrivere un patto di fedeltà alla coalizione, che per una certa politica è però carta straccia; ma resta che la Lega di Salvini ha fatto una scelta come partito di destra e nazionale, dove i riferimenti sono gli stessi di Fratelli d’Italia: la sicurezza e il pericolo rappresentato dallo straniero. Ciò, in tempo di Covid-19 e di 209 miliardi di Euro ricevuti dall’Europa e da spendere per i cittadini, depotenzia fortemente i messaggi di quelli del lupo al lupo, gli strilloni del va tutto male, che non fanno una proposta neanche a cercarla con il lanternino. E se Luca Zaia decidesse poi di costruire un partito di destra moderata, ciao ciao a Meloni e Salvini e fine della giostra.
Dobbiamo aggiungere che Giorgia Meloni, come Matteo Salvini,è poco più che una semplice agitatrice di piazza, che campa di slogan e di pensiero semplice. E con queste premesse non diverrà mai la Presidente del Consiglio di un grande Paese come l’Italia. Quindi la sua corsa ad essere la prima della classe nel centrodestra, ammesso che ci riesca, inizia e allo stesso tempo finisce con l’essere irrilevante rispetto ad un obiettivo non alla sua portata. A prescindere dal fatto di averne o meno le capacità, la spregiudicatezza e la giusta dose di cinismo, il suo retroterra politico la confinerà al massimo a fare la Ministra, che ha già fatto grazie allo sdoganamento di una certa destra operato da Silvio Berlusconi. E poi non ce la vedo la Meloni che diventa moderata e prende le distanze da tutte quelle formazioni estremistiche che stanno alla destra della destra. A meno che domani non mi smentisca ed inizi la sua traversata del deserto andando a manifestare per liberare il palazzo occupato da Casapound. Ci andrei insieme e gli farei l’applauso, ma non accadrà. Come non accadrà che si possa battere per l’autonomia delle Regioni e nel contempo predicare il suo patriottismo elevato all’ennesima potenza. Non ce la vedo, nonostante i 209 miliardi del Recovery Fund, a condividere e sostenere la imminente revisione del regolamento europeo di Dublino sulla redistribuzione dei migranti in Europa, ottenuto grazie alle indubbie capacità del Presidente Conte, che ha convinto i partner europei a ragionare sul problema del primo approdo. Come farebbe Giorgia Meloni a giustificare al suo popolo un cambio di passo del genere? Se sei un “nero”, ma sei un migrante, ti respingo a prescindere. Non ce la vedo a governare un Paese in maniera autarchica e ad aprirsi nel contempo a tutto ciò che non sia chiassoso e grossolano patriottismo. Su queste colonne, avevo già anticipato come Giorgia Meloni partecipasse interessata alla via Crucis di Matteo Salvini, che sta risalendo lo stivale per tornare al Nord, ammesso che se lo riprendano. Diciamola tutta, la segreta aspirazione di Salvini è candidarsi Sindaco di Milano, sempre che ne trovi il coraggio e che la Lombardia di Fontana e Gallera riescano a sostenerlo, anche a fronte delle inchieste giudiziarie, sia personali che di professionisti a lui vicini.
*Giuliano Pacetti, Capogruppo del Movimento 5 Stelle in Assemblea Capitolina
e Consigliere delegato dell’Area Metropolitana di Roma