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Roma
Virus, possibile prevedere gravità del Covid. Scoperto legame con l'intestino

Coronavirus, possibile prevedere la gravità del Covid: a scoprirlo uno studio del Policlinico Gemelli di Roma che, analizzando un biomarcatore d'infiammazione intestinale presente nelle feci, è riuscito a studiare l'aggressività del virus partendo da un legame con l'intestino.

Lo studio del Policlinico Gemelli e dell’Università Cattolica sul marcatore d’infiammazione intestinale, i cui elevati livelli nei pazienti affetti da Coronavirus potrebbero indicare la gravità della malattia polmonare correlata al virus, è stato pubblicato sulla rivista medica “Digestive and Liver Disease”. Allo studio hanno contribuito gli infettivologi Massimo Fantoni e Rita Murri e le dottoresse Eliana Troiani e Teresa De Michele dell’UOC, Unità Operativa Complessa di Chimica, Biochimica e Biologia Molecolare Clinica diretta dal professor Andrea Urbani.

Il biomarcatore che abbiamo dosato nelle feci dei pazienti affetti da Covid-19 si chiama calprotectina ed è una proteina prodotta da un tipo particolare di globuli bianchi (i neutrofili) e segnala la presenza di un danno infiammatorio a carico della mucosa intestinale. Il suo dosaggio si effettua su un semplice campione di feci; è un esame di facile esecuzione e che si può effettuare in numerosi laboratori”, ha detto a Labozeta Veronica Ojetti, gastroenterologa e professore del Dipartimento di Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ricercatore di Medicina Interna all’Università Cattolica, campus di Roma. “L’idea di dosare i livelli di questo marcatore di infiammazione intestinale – prosegue – nasce dall’osservazione che molti pazienti con infezione da Sars Cov 2 presentano sintomi gastrointestinali, in particolare diarrea Un quarto dei nostri pazienti presentava sintomi gastro-intestinali alla diagnosi che correlano con elevati livelli calprotectina (>50 µg/g) e che possono comparire spesso prima dell’interessamento polmonare. L'interessamento intestinale del Covid-19 è dovuto al fatto che a questo livello sono particolarmente numerosi i recettori ACE-2 (gli stessi presenti al livello polmonare) , che rappresentano la porta d'ingresso del virus nelle cellule”.

Grazie a questo biomarcatore è così possibile fare una diagnosi predittiva: “Trovare elevati livelli di calprotectina nelle feci dei pazienti affetti da Covid – continua la professoressa Ojetti – è indice della migrazione dei neutrofili nell’intestino e quindi dell’instaurarsi di un processo infiammatorio. La novità di questo studio è che un elevato livello di calprotectina delle feci, anche al momento della diagnosi di COVID-19, può rappresentare un fattore predittivo di una maggior aggressività della malattia, in particolare a livello polmonare. Dunque, in un prossimo futura dosare la calprotectina al momento della diagnosi e monitorarne i livelli può aiutare il medico a valutare una possibile evoluzione della malattia in senso peggiorativo”.

Sul fatto che i pazienti con sintomi gastrointestinali siano più a rischio rispetto ad altri, la professoressa prende tempo: “E’ troppo presto per dirlo ma sicuramente in questo studio abbiamo dimostrato una correlazione fra elevati livelli di calprotectina e malattia più grave. Abbiamo paragonato infatti i livelli di calprotectina fecale in un gruppo di pazienti covid positivi con polmonite interstiziale e un gruppo di pazienti pressoché asintomatici e sorprendentemente abbiamo riscontrati livelli significativamente più alti di calprotectina fecale nei pazienti con quadri più gravi”.

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