Roma

Virus: “Solo la ricerca salverà l'Italia”. L'università e la guerra al Covid

Pasquale Russo, direttore generale della Link Campus University: “Lezioni, esami e lauree in streaming. L'Italia punti sulla ricerca e ne uscirà più forte”

di Federico Bosi

Coronavirus, “Solo puntando tutto sulla ricerca l'Italia riuscirà a salvarsi ed uscirà più forte da questa crisi che durerà ancora a lungo”. Con queste parole il direttore generale della Link Campus University, Pasquale Russo, lascia poco spazio all'immaginazione: mentre l'università continua a lavorare in streaming, il Bel paese ha sotto gli occhi la soluzione per ripartire.

 

Direttore Russo, come sta vivendo la vostra università questa emergenza Coronavirus?

“La nostra, essendo una università molto tecnologica, non ha avuto grossi problemi fare lo 'switch' e trasferirsi a casa. Il 95% del nostro personale è in smart working, solo circa 10 persone tra cui io ed il rettore stiamo continuando a venire a lavorare in sede. Nel frattempo abbiamo fatto sanificare tutti i locali, dagli uffici alle aule ed i bagni. Inoltre ogni settimana inviamo a tutti i nostri studenti, che sono poco meno di 2000, un questionario in cui chiediamo loro quali sono gli aspetti positivi e negativi di questa didattica alternativa e quali sono quelli da migliorare. In base alle risposte che ci vengono date, ci riuniamo insieme ai coordinatori dei corsi di laurea via streaming utilizzando Google Meet e studiamo delle migliorie da apportatore al sistema. Non le nascondo che fare riunioni in questa maniera è molto faticoso ma andiamo avanti lo stesso perché il sistema sta funzionando bene”.

pasquale russo link campus university
 

Ci sono casi accertati di Covid-19 tra i vostri studenti e dipendenti?

“Al momento non ci risultano casi positivi. Ne abbiamo la certezza tra i nostri dipendenti, ma non tra gli studenti. Potrebbero esserci dei casi positivi che non ci sono stati comunicati per paura, ma al momento non ci risultano. Noi siamo sempre vigili sulla situazione e chiediamo informazioni ai nostri ragazzi, poi sta a loro dirci la verità”.

Ha parlato di didattica alternativa. Come stanno procedendo le lezioni?

“La nostra università non ha voluto utilizzare un sistema telematico per svolgere le lezioni ma ha preferito lo streaming. Docenti e studenti si collegano alla piattaforma e possono vedersi tutti in volto tramite una webcam, simulando la vera e propria esperienza fatta in classe. Nella stessa modalità stanno andando avanti i master, tutto il comparto ricerca e la nostra scuola di politica. Di quest'ultima sono stati rinviati tutti gli eventi in programma, ma stiamo pensando di ripristinarli sempre in forma streaming”.

Come si stanno trovando i docenti a stare dietri ad un computer rispetto alla vecchia cattedra?

“Devo essere onesto, c'è chi si è trovato bene fin da subito e chi ha avuto un po' di difficoltà. Abbiamo docenti giovani e molto 'smart' che non hanno avuto nessun tipo di problema ad utilizzare la piattaforma, ma abbiamo anche professori più 'attempati' che hanno riscontrato un po' di difficoltà. Per questo i docenti possono svolgere le lezioni in streaming sia da casa, poiché li abbiamo forniti tutti di una rete Vpn in modo tale da preservarne la nostra e la loro privacy, che venire in università ed utilizzare le nostre apparecchiature con l'aiuto di un tecnico, sempre rispettando le dovute distanze imposte dal Governo”.

E gli studenti? Rispetto alle classiche lezioni in aula, riscontrate una maggiore o una minore partecipazione?

“La partecipazione è maggiore, ma la mia preoccupazione è che possa essere legata alla novità della cosa. Ben 25 anni scrivevo liberi sul telelavoro e so per certo che, qualora un'attività lavorativa non sia mediata da una presenza fisica, alla lunga stanza. Per questo il stiamo chiedendo al nostro corpo docente di coinvolgere il più possibile i studenti. Le lezioni infatti sono strutturate con un'ora di didattica classica e due ore di quiz, test e domande inerenti alla materia in questione in modo tale da tenere alta l'attenzione dei ragazzi. Siccome queste emergenza sono certo che continuerà anche oltre il 3 aprile, la nostra forza sarà quella di puntare su delle lezioni molto interattive”.

Capitolo esami?

“Anche qui stiamo seguendo le disposizioni arrivate dal Ministero e stiamo procedendo con esami in streaming solamente orali. Per quanto riguarda il riconoscimento del candidato che si appresta a svolgere l'esame, argomento chiacchierato in questo periodo, la nostra fortuna è che avendo classi molto piccole in stile liceo, i docenti conoscono perfettamente ogni loro studente e sono in grado di riconoscerli all'istante. Una disposizione ulteriore che abbiamo dato a docenti e studenti è quella di fare domande brevi con risposte brevi, in modo tale che i candidati non abbiano il tempo di consultare sotto la webcam appunti o libri. Lo streaming fatto in questa maniera ci è sembrata la formula migliore per garantire la regolarità degli esami”.

Stesso discorso per le lauree?

“Esattamente. La commissione si collega in streaming, una parta dall'università ed una parte da casa, ed ascolterà la relazione del candidato. Non abbiamo fermato nulla”.

Con tutte queste novità sperimentate in questo periodo, il mondo universitario può dire di uscirne fortificato?

“È quello che dico dal primo giorno. Io sono convinto che quando sarà finito il Coronavirus oltre al mondo universitario, anche l'Italia sarà migliore. Ne usciremo più forti, soprattutto quelli che hanno colto subito la possibilità di cambiare e non si sono fatti prendere la panico perché come diceva Darwin 'Non sopravvive il più forte, ma quello che si adatta più velocemente', ma ci vorrà ancora parecchio tempo. L'Italia deve approfittarne per cambiare, per diventare più aperta verso il resto del mondo. Tutto questo puntando sulla ricerca, è solo così che si può far tornare l'Italia tra le leadership mondiali. Bisogna far nascere un nuovo Risorgimento, puntando sulle 'research university'. Noi abbiamo un dipartimento di ricerca molto forte e apprezzato, questo perché nonostante siamo un'università privata che non riceve fondi dallo Stato, prendiamo le rette, paghiamo i professori e poi non incassiamo gli utili ma li investiamo nella ricerca. Se ci riusciamo noi nel nostro piccolo, non vedo perché non dovrebbero riuscirci anche realtà più grandi”.