Welcome in Rome, città dell'imbroglio e della sciatteria. Parola di Flaiano
Roma, i suoi vizzi, i suoi vezzi nel “manuale” di Ennio Flaiano del 1972. Oggi come ieri
di Patrizio J. Macci
La Roma del 1972 scolpita dalla penna intinta nel veleno dell’ironia di Ennio Flaiano che conosceva benissimo i vizi e i vezzi dei cittadini dell’Urbe: rifiuti onnipresenti nelle strade, pigrizia, lassismo, una inveterata tendenza all’imbroglio e alla cialtronaggine.
È la Roma all'ombra della Democrazia Cristiana di Clelio Darida; la Dolce Vita è finita da un pezzo, l'aria che si respira è quella di Totò che tenta di vendere la Fontana di Trevi in un suo famoso film.
Un piccolo ma combattivo editore (Henry Beyle) salva dall’oblìo due lunghi articoli scritti per L’Espresso riunendoli in un prezioso libretto, “Welcome in Rome” di Ennio Flaiano.
Lo scrittore, alla pari del suo Marziano, atterra sul pianeta Roma, con la famiglia al completo al seguito, sbarcando all’aeroporto di Fiumicino (che lui da buon americano chiama Feeumeesheeno) e comincia a raccontare quello che incontra: scioperi improvvisi dei tecnici addetti all' assistenza a terra, mancanza di carrelli, negozi chiusi, tassisti che taroccano il percorso, il linguaggio sciatto e volgare usato dagli “indigeni”: “Lunedì. Siamo arrivati stanotte io, mia moglie Gail e mia figlia Susan da Paris (France) con molte ore di ritardo, a Feeumeesheeno, che in italiano si scrive Fiumicino. Feeumeesheeno è un brutto piccolo aeroporto, che sorprende per molte cose, ma soprattutto per il suo stato di abbandono e di sporcizia. Io non capisco come gli italiani, così fieri dei loro monumenti, non abbiano creduto di spendere un po’ di soldi per un intercontinental airport. All’arrivo abbiamo avuto l’impressione di essere stati dirottati a nostra insaputa in Siria o qualcosa di simile. C’erano molti siriani non sbarbati che stavano attorno al nostro aereo e ridevano. C’era uno sciopero dei tecnici addetti all’assistenza a terra, per cui siamo dovuti scendere dalla carlinga per le uscite di sicurezza, molto sportivamente, lasciandoci scivolare su un telo. E portarci da noi i bagagli sino all’edificio dell’aeroporto, lontano un miglio. Il nostro comandante ha pregato un conducente degli autobus aeroportuali di far salire almeno le signore anziane, ma quello ha risposto: «Non mee eemporte un katzo», cioè a dire che non era interessato a quel trasporto. Katzo è una locuzione molto usata dagli italiani e significa «poco» o «nulla», secondo i casi. Ho detto al comandante se non era il caso di risalire a bordo, ripartire e dirottare l’aereo verso un paese di oltre cortina, dove gli americani sono bene accolti”.
Sono trascorsi quasi cinquant’anni da quando Flaiano ha scritto queste parole, ma sembra di vedere la città ricevuta in dono dalla Sindaca Virginia Raggi. Amministrazioni di ogni colore politico si sono succedute in Campidoglio, ma apparentemente non è cambiato nulla. A prescindere dalla capacità unica di Flaiano di catturare l’anima del cittadino romano nella sua patina di volgarità che - dispiace dirlo ma è indiscutibile- concorre a renderla la Città Eterna.
Il volume è impreziosito da un piccolo manuale di conversazione, un “breve frasario-standard ad uso dei miei connazionali che visitano per la prima volta l’Italia”. Flaiano non ha pietà per nessuno, imbroglioni e imbrogliati sono tutti ugualmente colpevoli perché nulla è cambiato sotto il sole.