Roma
Zingaretti sfida Franceschini: Lazio, edilizia bloccata e l'opposizione guarda
“Il Governo e lo Stato sono due cose diverse, ecco perché il Ptpr del Lazio è fallito e l'edilizia è ferma”
di Donato Robilotta
La bocciatura da parte della Corte Costituzionale, con la sentenza 240/2020, del PTPR, Piano territoriale paesistico della Regione Lazio, è passata in silenzio non ha avuto il rilievo che dovrebbe avere una simile notizia.
Eppure la bocciatura del piano è una cosa grave, intanto perché il Ptpr, insieme al piano rifiuti fuffa, è uno dei due provvedimenti di programmazione e pianificazione che la giunta Zingaretti ha approvato in oltre sette anni di amministrazione.
Inoltre è grave perché con la bocciatura del Ptpr si è bloccata l’intera edilizia regionale e attualmente sono possibili soli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico e igienico e restauro conservativo. Cioè il blocco totale, altro che rigenerazione e rilancio urbanistico, dal momento che oltre il 70 per cento del territorio laziale è sottoposto a vincolo paesaggistico
Proprio questa è stata la principale motivazione che la difesa ha usato, nel tentativo miracoloso di salvare il Piano, chiedendo alla Corte di dichiarare l’inammissibilità del ricorso dello Stato per conflitto di attribuzione e in subordine di limitare la eventuale bocciatura alle sole disposizioni del piano ritenute lesive. Proprio per evitare la cancellazione dell’intero piano.
Altra tesi che la difesa ha giustamente utilizzato è stata quella di separare le competente e le responsabilità tra giunta e consiglio. La Giunta ha approvato un testo scritto a due mani con il Mibact, il Consiglio, che non può essere considerato come un passacarte, ha approvato il testo modificandolo. L’amministrazione ha fatto il suo dovere ma il Consiglio nella sua autonomia ha deciso diversamente e non si può non tenerne conto.
Anche perché, come è noto, le elezioni regionali del 2018 hanno portato ad una maggioranza striminzita di un solo voto di differenza. Inoltre nell’ordinamento regionale non esiste l’istituto della fiducia, come in Parlamento, cioè uno strumento per far approvare il provvedimento pena la caduta del governo stesso.
Ma la Corte non ha voluto sentire ragione ed ha accolta la richiesta del Mibact di annullare il piano per mancanza di co-pianificazione, facendo filtrare attraverso la lettura della sentenza tutta la propria irritazione per i comportamenti dell’amministrazione Zingaretti. Amministrazione che non ha puntato a valorizzare il ruolo e l’autonomia del Consiglio né ha messo in discussione i principi della co-pianificazione, che non può significare scrivere un testo sotto dettatura, ma ha pasticciato nei vari passaggi tentando un vero e proprio gioco delle tre carte.
Il codice dei beni culturali del 2004, innovando la disciplina statale in materia di pianificazione paesaggistica, ha introdotto il principio delle co-pianificazione dei beni paesaggistici tra Stato e Regione. Nel senso che il testo che la Regione approva deve essere scritto a due mani. Erano venti anni che il lazio aspettava il suo piano. Nel 2013 la Regione firma un accordo con il Mibact ancora più stringente delle norme di co-pianificazione del codice Urbani; nel 2015 vie raggiunta una intesa su un testo che modifica e integra il piano approvato dall’amministrazione precedente.
Nel 2016 l’amministrazione Zingaretti approva il piano con una delibera che non arriva mai in Consiglio regionale. Nella nuova legislatura quella delibera viene riproposta nel 2018 e messa all’ordine del giorno del Consiglio l’anno dopo. Durante la discussione a fine luglio del 2019 il Pd si divide e il consiglio con una maggioranza trasversale approva il 2 Agosto un Ptpr diverso da quello approvato in giunta e condiviso con il Mibact.
L’assessore Valeriani in aula aveva giurato e spergiurato che nel maxi emendamento presentato in aula erano state accolte tutte le osservazioni del Mibact e rimandava al mittente le critiche che si erano alzate da parte di diverse associazioni che mettevano in dubbio le sue affermazioni. Così come respingeva le critiche dell’allora Ministro del governo gialloverde, che minacciava di impugnare il piano, invitandolo a leggere bene il testo.
Ad Agosto Salvini apre la crisi e a Settembre nasce il governo giallo rosso. Probabilmente Zingaretti e Valeriani pensano di poter convincere il neo ministro Franceschini a non sollevare il conflitto di attribuzione. Evidentemente non hanno chiaro che lo Stato non si identifica esattamente con i governi.
Passano mesi prima che il piano, approvato con delibera n. 5 il 2 agosto 2019, venga pubblicato sul Bur, cosa che avviene il 13 Febbraio del 2020, quasi sei mesi dopo, un fatto gravissimo e contrario a tutte le regole della buona amministrazione. Quello stesso giorno la giunta regionale con delibera n. 50 approva le modifiche che ripristinano il Ptpr che aveva trovato la condivisone del Mibact.
E’ evidente l’intento, da un lato di pubblicare il testo sul Bur per farlo entrare in vigore prima della scadenza del 20 febbraio, stabilita dalle numerose proroghe della legge 38, e dall’altra di evitare l’impugnativa con l’approvazione in giunta di quanto concordato con il mibact, facendo finta di non sapere che la delibera ha valore solo se approvata dal Consiglio. Insomma una specie di gioco delle tre carte che non convince il Ministro Franceschini che nell’aprile del 2020 promuove il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta.
Se il Consiglio avesse approvato il testo il ricorso sarebbe venuto meno ma la maggioranza fa ancora melina, porta il testo in commissione e lo approva per l’aula ma non lo fa mai mettere all’ordine del giorno del Consiglio. La giunta Zingaretti non si rende conto che così ammette la propria responsabilità e indebolisce la difesa. Tanto che il miracolo non arriva e nonostante l’abile difese la Corte boccia il piano.
Addirittura lo stesso giorno del comunicato della Corte, il 17 novembre, dal palazzo della giunta viene pubblicata una nota con la quale si dichiara che la Regione e il Mibact hanno raggiunto già un intesa sul testo riapprovato in giunta il 13 febbraio e che verrà messo subito all’ordine del giorno del Consiglio.
Qualche giorno più tardi in Consiglio viene approvato, con una larga maggioranza, una mozione dei 5 stelle che invita il Presidente della Regione e l’assessore Valeriani a portare in Consiglio il Ptpr. Però ad oggi del piano in Consiglio non c’è traccia, evidentemente nel Pd c’è ancora una forte divisione. In altri momenti una tale bocciatura avrebbe portato ad una crisi di giunta o quanto meno alle dimissioni dell’assessore competente. Dimissioni che non sono state chieste neanche dall’opposizione.