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Fisco e Dintorni
Accertamento soci SRL: il Fisco deve fornire prove

I giudici lombardi hanno dichiarato l'invalidità degli accertamenti emessi nei confronti dei soci di una srl dove si presumeva la spartizione “in nero” degli utili della società (in virtù della cd. ristretta base societaria).

 

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con la sentenza n. 66/2024 depositata il 9 gennaio 2024 (consultabile sul sito www.studiolegalesances.it – sez. Documenti), ha delineato i criteri necessari per l'emanazione degli avvisi di accertamento nei confronti dei soci di una S.r.l. a partecipazione ristretta (ossia quella tipologia di società costituita da un numero limitato di soci).

La questione in esame si riferisce ad una prassi di accertamento fiscale da parte dell’Amministrazione  divenuta comune negli ultimi anni (poiché avallata anche dalla Suprema Corte) che si basa su una doppia presunzione:

1. La prima presunzione assume l'esistenza di ricavi in nero non dichiarati dalla società.

2. La seconda presunzione, di riflesso, ipotizza che tali ricavi non dichiarati siano stati distribuiti tra i soci proporzionalmente alla loro quota di partecipazione.

Tale situazione sembra tuttavia destinata a cambiare con la recente introduzione del novellato comma 5 bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992.

La predetta disposizione ha introdotto un'inversione dell'onere della prova a carico dell'Amministrazione Finanziaria, correggendo l'asimmetria processuale che per anni ha penalizzato i contribuenti.

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate di Bergamo aveva emesso degli avvisi di accertamento per un presunto maggior reddito “in nero” a carico dei tre soci e derivante dalla verifica di ricavi non contabilizzati alla loro società.

I giudici di primo grado, dopo aver riunito i procedimenti, avevano accolto i ricorsi dei contribuenti, annullando gli accertamenti e condannando l'Amministrazione al pagamento delle spese legali.

La sentenza aveva riconosciuto l'efficacia riflessa del giudicato formatosi nel procedimento tra l'Agenzia delle Entrate e la società, attestando l'assenza di utili non contabilizzati attribuibili ai soci. In particolare, i giudici dichiaravano “..questo Collegio … escludeva l’esistenza di utili extracontabili attribuibili di riflesso ai soci. … ritiene che nel presente giudizio debba riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle Entrate e la società srl, con cui sia stata accertata l’insussistenza di utili extracontabili della società. Il venir meno del presupposto su cui è fondato l’accertamento a carico dei soci comporta per conseguenza che i ricorsi qui impugnati siano accolti”.

L'Agenzia delle Entrate aveva successivamente proposto appello avverso la sentenza di primo grado. Tuttavia, anche in questo caso, i giudici di secondo grado hanno confermato la posizione dei contribuenti, facendo riferimento proprio al comma 5 bis dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, che stabilisce: "L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni".

I giudici d’appello, dunque, sottolineano che anche negli accertamenti basati su una ristretta base societaria, spetta all'Ufficio dimostrare sia LA DISTRIBUZIONE DEI MAGGIORI UTILI da parte della società sia LA PERCEZIONE DI TALI UTILI DA PARTE DEI SOCI.

Affermano i giudici: Tali prove … non sono state fornite in maniera dirimente a supporto della tesi erariale, infatti, la base sociale ristretta porta alla conoscibilità degli affari sociali e al controllo delle attività poste in essere mentre gli utili extra contabili accertati in capo alla società costituiscono il presupposto, non della presunzione della distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della percezione di una determinata somma, …”.

In conclusione, i giudici di secondo grado hanno rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione e hanno condannato la stessa al pagamento di euro 4.000 in favore dei contribuenti per le spese di lite.

Alla luce di quanto finora esposto, dunque, possiamo notare come la concreta applicazione del comma 5 bis dell’art.7 del DLgs n.546/1992 stia portando alla produzione di sentenze che si pongono in un’ottica favorevole per i contribuenti i quali, finalmente, non sono più costretti a fornire la diabolica prova contraria per confutare le pretese avanzate dal Fisco con la quale, per anni, hanno dovuto scontrarsi.

Dott.ssa Giulia Frisenda

Avv. Matteo Sances

www.centrostudisances.it






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