Acquistare titoli a rendimento negativo
Secondo l’Economist, a seguito di una panoramica sui rendimenti del mercato americano a reddito fisso, il mondo va a rovescio: finirà che risparmiatori ed investitori saranno disposti a pagare pur di prestare i propri soldi alle aziende più solide. Anzi, il fenomeno è già iniziato, visto che obbligazioni come quelle emesse da aziende produttrici di beni di largo consumo come Johnson & Johnson e Unilever, o di beni di lusso come LVMH, o farmaceutici come Sanofi, oggi alla borsa di New York hanno rendimenti negativi.
Infatti il prezzo di alcune obbligazioni societarie è così alto che gli acquirenti accettano di perdere soldi acquistandole. Per ora, sottolinea l’Economist, il fenomeno è ancora circoscritto a quella che viene definita “l’aristocrazia” del settore delle imprese. Alcune aziende sono così richieste che gli investitori stanno comprando il loro debito a un prezzo che supera il valore dei futuri pagamenti di interessi e capitale. La stessa cosa si può dire per alcuni titoli di stato, che offrono anch’essi rendimenti negativi.
In parte, la diffusione della negatività riflette l'impatto della politica monetaria: tassi negativi delle banche centrali, quantitative easing, riserve, ecc.
Molta responsabilità per il fenomeno va anche attribuita alla necessità di banche ed altre istituzioni finanziarie, compagnie di assicurazione, ecc. di tenere in portafoglio titoli quotati di buon livello per ragioni normative. Di conseguenza c'è una grande domanda di bonds con rating più alto, indipendentemente dal rendimento che essi offrono.
Secondo Markus Stadlmann, della banca britannica Lloyds, ci sono almeno 355 corporate bond con rendimenti negativi al momento (tenendo conto anche delle duplicazioni) soprattutto nei settori che non dovrebbero subire particolari problemi in caso di recessione più marcata nel prossimo futuro.
Ma per un privato, c’è qualche motivo serio per comprare questi bond? Sembrerebbe paradossale, ma una qualche motivazione si può trovare in due aspetti cui in decenni di inflazione non avevamo mai pensato.
Il primo è che i tassi d’interesse scendano a breve ancor di più sotto lo zero, creando un’opportunità di realizzare un po’ di utile rivendendo i titoli al momento giusto. Però dopo resterebbe il problema di come reinvestire il piccolo utile conseguito. Il secondo, ancora più comprensibile dal punto di vista finanziario, è che un consolidarsi del fenomeno deflattivo sui mercati occidentali porti sì a conseguire una piccola perdita in termini numerici, ma in realtà a conservare il potere d’acquisto del capitale e forse anche ad aggiungere un po’ di potere in più, vista la probabile contrazione di prezzo dei beni.
Paolo Brambilla