Il bisogno di crescere tutti i giorni e il coraggio di mettere le mani nelle zone d'ombra
La Soft Skills Academy raccontata da chi la vive
Sono laureati, parlano le lingue, si vestono come pare a loro, non cercano il consenso ma il successo con se stessi. Un successo diverso da quello americano.
Non percepiscono la competizione come un modello educativo, declinano un'idea di vita diversa da quella delle università sceriffo, dove giovani virgulti vengono preparati a diventare serpi del mercato, pronti a fottere il prossimo al primo incrocio. Dediti alla cultura del "primum vivere".
Non si sono racchiusi dentro le culture di massa, non sono apologeti degli 'indiani metropolitani' degli anni 70 o dei paninari degli anni 80. Non cavalcano le mode, diventa difficile riuscire a omologarli.
Questi ragazzi, quelli della Soft Skills Academy, sono proprio quelli della porta accanto e arrivano anche loro dalle guarnigioni del capitalismo differito, quello che vediamo nelle grandi città. Ognuno di loro è comunque parte del grande gioco del consumismo. 'Essere' in base al consumo e al possesso: su questo abbiamo fondato l'innesto della democrazia dentro i contesti collettivi.
In queste interviste potete ascoltare le loro parole che, parlando di lavoro, associano al concetto di famiglia, di amore, di rispetto.
L'azienda come luogo di scambio emotivo, come prolasso dell'egolatria narcisista intenta a creare consumatori.
Alcuni di loro se ne sono andati da certi meccanismi perché cercano la persona. Cercano l'essere umano. Che vuol dire le emozioni, i sentimenti, le idee, su cui edificare un modello di società e di azienda dove non conti solo il danaro.Dove non conti solo prendere.
Faticano a osservare differenze dove i più le vedono; si sentono parte di un mondo in cui le ideologie sono state abbandonate.
Si sono affrancati dalla grande accademia della competizione. In cui vincere, sopraffare l'altro, batterlo anche con modi scorretti, non fa parte del loro DNA. Al contrario per molti di loro guadagnare significa provare a dare. È un cambio di paradigma, di coscienza. Arrivano dopo gli anni di pandemia e dopo l'avvento della guerra alle porte di casa. Dopo anni in cui è stata negata l'essenza stessa della vita: la relazione.
Non vogliono diventare parte di un meccanismo soffocante, in cui il fatturato sia l'unica religione.
La loro spiritualità consiste nel cercare l'umano. È un buffo concetto. Insegniamo a scuola o negli atenei che l'unica cosa che conta è possedere il controllo. L'ideologia che va per la maggiore recita il rosario del possesso, dell'affastellare, del mungere dove e quando si può, il più possibile. E si premia, alla fine, chi ha di più.
Loro sono Giordano e Valeria. Al nostro microfono pongono il tema della riflessione, come volano per un rinnovamento della loro coscienza.
Non esiste professionista che non sia capace di riflettere su di sé, sul senso del proprio cammino professionale e di vita.
Loro due, Giordano e Valeria, raccontano come e perché hanno scelto di farlo. Senza abdicare al diritto di poter godere anche del piacere. Non cercano l'atarassia, non coltivano lo stoicismo. Cercano un percorso che li formi ma che li aiuti anche a qualificarsi da un punto di vista umano.
A che serve essere un valente professionista, se poi come uomo o come donna si diventa una nullità dedita solo alla ricerca del piacere fino a se stesso? A che serve vivere se non sai dedicarti agli altri?
Se il senso della vita è camminare insieme - come accade in una famiglia o in una società - perché nelle aziende dovrebbe valere il contrario? Cioè dissociare ciò che la natura mette uno accanto all'altro?
Max Rigano