Donne, dai media nessun sostegno: l'audience è l'alleato della violenza

Le storie efferate aumentano le vendite e lo share dei programmi tv. Occorre partire dall'educazione e non alimentare questa malvagità

di Maria Rita Parsi*
Perugia - Piazza Birago- Giornata internazionale contro la violenza sulle donne - Flash Mob ORA BASTA
Costume
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La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Onu nel 1999 e celebrata ogni anno il 25 novembre, è stata accompagnata in questo 2021 da una lunga scia di sangue. E in effetti, nella settimana che ha preceduto il 25 novembre, sono state 6 le donne uccise in Italia, portando il totale dall’inizio dell’anno a 109, secondo il report "Omicidi volontari" curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale. Di queste, ben 93 sono state uccise in ambito familiare/affettivo. Il dato è dunque doppiamente preoccupante: da un lato c’è, nel nostro Paese, un aumento dell’8% dei cosiddetti femminicidi nei primi 11 mesi dell’anno rispetto ad analogo arco temporale del 2020. Dall’altro si conferma come i carnefici siano nella stragrande maggioranza dei casi amici, conoscenti, familiari e, soprattutto, partner ed ex partner. Quest’ultima circostanza è confermata dai dati Istat, che rilevano come nel 2020 appena il 7,8% delle vittime di sesso femminile non conoscessero i loro assassini.

L’allarme lanciato dai media è quindi reale, anche se, ad onor del vero, l’incidenza degli omicidi di donne in Italia risulta assai contenuta, ponendosi al terz’ultimo posto tra i Paesi europei: valori inferiori si osservano solo in Grecia e Irlanda. Questo, tuttavia, non deve spingerci ad una collettiva deresponsabilizzazione, ma anzi a moltiplicare gli sforzi perché il numero degli omicidi cali drasticamente, e affinché – passaggio preliminare e ineludibile - il terreno sul quale si sviluppa il germe della discriminazione e della violenza venga dissodato e fertilizzato da un’idea chiamata “rispetto”.

Occorre partire, ancora una volta, dall’educazione: nelle famiglie, nelle scuole, nella società. Nessun provvedimento di legge, per quanto rigido e punitivo, potrà dissuadere un uomo dal compiere il reato, dal più lieve al più efferato, se prima, in maniera sistematica e competente non si sarà provveduto ad incidere a livello psicologico, culturale, sociale sulla mentalità misogina fatta propria da molti uomini, che vuole negare alla donne totale parità di diritti, autonomia, indipendenza, libertà sessuale, formazione culturale, realizzazione lavorativa e creativa, felicità. Le donne come gli uomini appartengono alla vita, sono vita, ma le donne hanno la capacità di dare vita alle forme della vita. Un potere indiscusso e assoluto, capace, con il seme dell’uomo, di popolare il pianeta. E’ un potere generativo e costruttivo che, in molte occasioni, si contrappone al potere distruttivo di alcuni uomini, intenzionati a negare la vita come difesa psicologica estrema, reazionaria, suicidaria, all’angoscia di morte che ci accompagna sin dall’inizio della nostra vita, via via comprendendo che si nasce, e , alla fine, prima o poi, si dovrà morire. Il potere distruttivo di questi uomini che, talvolta, contagia anche “le donne nemiche delle donne” può arrivare non solo ad uccidere la compagna o l’ex compagna – quando non il compagno o l’ex compagno - ma anche i figli, quale azzeramento totale e definitivo della vita e di ogni sua traccia nel futuro.

E dunque Medea, venticinque secoli dopo, indossa le vesti maschili, e si moltiplica ovunque c’è insanità. E infatti, come l’infanticidio, cos’altro è il femminicidio, se non insania mentale da combattere con la salute mentale che deve accompagnare chiunque si ponga ad assumersi la responsabilità di fare dei figli? E che dire, poi, se, da sempre il potere è in mano a persone mentalmente insane, che, il più delle volte, sono uomini? Ma questa non è certo una possibile giustificazione alla distruttività, poiché è necessario, tra l’altro, non scambiare anche il pregiudizio ottuso e violento della misoginia per infermità mentale. Così, anche un’aggressione che sembra improvvisa nei confronti di una donna – e più raramente di una donna nei confronti di un uomo – è pur sempre preceduta da altri episodi di violenza o intimidazione, quale conseguenza di un processo in cui l’odio, la frustrazione, il senso di impotenza, il disprezzo per la donna – o, più raramente, per l’uomo - sono alla radice di disprezzo di sé, di una mancanza di autostima, di un’impotenza, che si sono sedimentati per lungo tempo.

La spettacolarizzazione della violenza e del dolore aggiungono poi raccapriccio all’orrore, attraverso i messaggi deliranti degli assassini irresponsabilmente rilanciati dai media, che contengono o giustificano o addirittura esaltano quei crimini. Dare visibilità al male contenuto in questi ricattatori manifesti del male, equivale ad alimentarlo, a generare imitazione ed emulazione. Ma tutto questo evidentemente poco importa nel momento in cui la pubblicazione di storie efferate fa aumentare le vendite, lo share dei programmi televisivi o il livello di engagement dei post sui social network. È il profitto il miglior alleato della violenza, equazione che da sempre, e forse per sempre, è sfuggita e sfuggirà agli opinionisti urlanti che infestano i palinsesti di ogni tv. E non solo!

E dunque le donne non trovano sostegno nel sistema mediatico ma tantomeno lo trovano nelle Istituzioni, che non riescono a garantire loro una adeguata protezione, Neanche quando sono stalkerizzate, dopo aver sporto denunce che assai spesso sono ignorate oppure derubricate a fantasie o allarmismi eccessivi. È il caso di Mirko Genco, 24 anni, che ha ucciso l’ex fidanzata Juana avendo persino il tempo di registrare, per 53 minuti, le sue proteste e il suo rifiuto. Ben poco si muove, sia chiaro, fino a che la denunciante non viene uccisa dal persecutore. È allora, che si dice: “In effetti potevamo fare di più”. Per poi lasciare il vuoto e la paura delle donne in attesa del prossimo femminicidio. Certo, Il codice rosso ha migliorato, di poco, la situazione. E non basta!

(Segue)

Ogni rivoluzione per i diritti umani – in primis quelli delle donne e dei bambini - deve partire dalla formazione e dalla cultura affinché le leggi siano rispettate. E le prime maisons de la culture, così come profetizzato negli anni ‘60 in Francia, potrebbero e, anzi dovrebbero essere le scuole, da trasformare in centri culturali polivalenti aperti per tutto il giorno, collegati al territorio da stabili équipe medico-psico-socio-antropedagogiche al servizio degli utenti: genitori, insegnanti, bambini e ragazzi. Mi ha molto colpito una indagine realizzata di recente dal Cnr-Irpps, e coordinata dal prof. Tintori, su 412 bambini dagli 8 ai 10 nelle scuole primarie del sesto e ottavo Municipio di Roma, alla quale come Movimento Bambino Onlus abbiamo collaborato: come primo risultato la ricerca ha dato l’indicazione che questi bambini e bambine del 2021 individuano il futuro di un maschio nelle attività di poliziotto, scienziato, comandante sul lavoro, e nel futuro delle bambine vedono la pulizia della casa, il cucinare, il fare la spesa, l’accudire i figli.

È su questa reazionaria visione del futuro, che sembra in una certa misura appartenere alle bambine che saranno poi delle donne, che dobbiamo agire. Affinché la prospettiva sia quella di una paritaria uguaglianza di diritti e di opportunità tra donne e uomini, nel rispetto delle specifiche differenze. Così da interrompere il circolo della violenza del maschile sul femminile, o comunque depotenziarla al massimo grado.

Occorre, insomma, risalire alle cause per cambiare effetti tanto dannosi. Laddove il passaggio dal fissare il dito al guardare luna è sempre, comunque, difficile. Seppure non impossibile!

*Presidente Fondazione Movimento Bambino e psicoterapeuta

 

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