Aurora Ramazzotti: "C'è chi adora essere incinta ma io..."
L'intervista a Vanity Fair, "la gravidanza non è stato il periodo idilliaco che mi era stato dipinto"
Aurora Ramazzotti, che a brevissimo diventerà mamma, a Vanity Fair racconta tutto dell’attesa e dell’arrivo del suo bambino
Aurora Ramazzotti, che a brevissimo diventerà mamma, dopo mesi in cui ha condiviso pochissimo sui social della sua vita rispetto al solito, a Vanity Fair racconta tutto dell’attesa e dell’arrivo del suo bambino, gli ultimi momenti di noia "prima dell’arrivo della cosa che non mi permetterà più di annoiarmi per il resto della mia vita", del rapporto con il compagno Goffredo Cerza e di come ha vissuto la gravidanza perchè "ci sono quelle che adorano essere incinte – come mia madre – e altre, come me, che fanno più fatica: non è stato il periodo idilliaco che mi era stato dipinto, ero emozionata ma anche impaurita".
Aurora descrive i primi tre mesi come "duri", a causa di "molte nausee", ma anche perché "la gente mi fermava per strada e mi chiedeva di tutto. Io non volevo parlarne, ma sorridevo lo stesso".
Che cosa le chiedevano?
Le solite cose: come va, sei felice… Capisco la buona fede, però è facile diventare inopportuni. È un momento delicato, intimo, pieno di insicurezze. E non è solo perché il primo trimestre è a rischio. Ci sono quelle che adorano essere incinte – come mia madre – e altre, come me, che fanno più fatica: non è stato il periodo idilliaco che mi era stato dipinto, ero emozionata ma anche impaurita.
Ed è doloroso parlarne perché ti senti sbagliata. Se manifesti questi pensieri, mi dicevano che dovevo essere felice. La gente non accetta che tu possa vivere questa cosa in un modo diverso dall’entusiasmo.
Ci sono tante sfumature
Esatto: c’è anche chi non vuole tenerlo, chi ha scoperto che il bambino che aspetta ha una malattia genetica, chi è incinta dopo una serie di aborti spontanei. Bisogna avere rispetto per le scelte che le donne vogliono fare sul loro corpo, in tutti i sensi. C’è anche chi non vuole avere figli, e a chi non interessa.
Avete 26 e 27 anni, siete benestanti: potreste fare tutto e scegliete di fare un figlio. Qualcuno vi ha detto: chi ve lo ha fatto fare?
Tutti i nostri amici, praticamente. Sconvolti. La mia generazione vede la genitorialità come qualcosa che ti toglie. Forse io non sono così spaventata all’idea perché ho l’esempio di mia madre, per cui so che è possibile avere un figlio e anche una vita, so che la maternità può essere un’aggiunta non una sottrazione.
D’istinto volevo la femmina, non perché avessi una preferenza, ma perché ho paura a crescere un maschio. A una bambina potrei insegnare come difendersi da quello che ho affrontato io.
Vi sposerete?
Oggi l’idea di stare insieme tutta la vita è quasi un’utopia. Io non ho vissuto chissà che esempi di matrimoni duraturi, lui invece ha i genitori che stanno insieme da 37 anni, ed è stato quindi lui a insegnarmi a pensare al futuro, a immaginare di costruire qualcosa insieme.
Non si aspetta che presto glielo chieda?
Il matrimonio non è la mia priorità. Direi una stupidaggine se dicessi che sogno l’abito bianco… Mi cringia anche un po’.
Come lo immagina come papà?
Io cerco costantemente l’equilibrio, lui è molto pragmatico. Magari non ti scrive una poesia, anzi, sicuramente non te la scrive, ma risolve problemi. Io non mi sento al sicuro con me stessa, ma con lui sì. Lui è la mia casa, il posto sicuro a cui torno. Sa amare in un modo intenso, che a volte mi chiedo se merito. E mi dico: cavolo se ama così me, chissà come amerà suo figlio.
I suoi genitori che diventano nonni, invece, non fanno mistero di essere felicissimi
Mio padre è contento, mi chiede, è tenerissimo, mi emoziona. Mia madre è tutta un’altra storia: non si tiene, è come se avesse un figlio lei.
Michelle ha detto: «Farò casino con mio nipote, lo porterò a sciare, a fare sport, ho ancora tanta energia». Non ha pensato: anche meno?
Ha già la culla, il fasciatoio, il baby monitor, sta allestendo una stanza a casa sua. Io non avevo ancora comprato nulla, poi siamo andate a cercare delle tutine e lei ha preso quello che compravo io: così non mi devo portare tutto dietro come succedeva a lei, dice. Abbiamo tutto doppio: pannolini, aspiratori nasali, shampoo, forbicine... Ieri la guardavo, e la vedevo così contenta, mi commuovevo: cavolo, sono molto fortunata ad averla.
Perché ha abbandonato l’università?
Per tante ragioni. La principale è che ho ricevuto una minaccia di morte e ho dovuto iniziare a girare con la guardia del corpo e a cambiare il mio stile di vita. Non è stato un periodo facile.
Ce lo racconta?
Ero andata a vivere da sola a 19 anni con i soldi che avevo messo via, perché già lavoravo. Tutti i miei amici andavano all’università, però, e ho voluto iscrivermi a Sociologia con indirizzo in Spettacolo. Anche se ho avuto un’infanzia bellissima, non avevo una situazione familiare standard, poi mia madre si è risposata, mio padre si è risposato, bambini piccoli in casa, insomma: avevo bisogno di spazio.
Da sola ero una pazza, facevo mille casini, ma studiavo, anche: proprio nel momento in cui stavo iniziando ad assaporare la mia nuova indipendenza, è arrivata la minaccia. Dicevano a mia madre che, se non avesse pagato, mi sarebbe successo qualcosa magari il giorno dopo, o tra due anni, o dieci. Ero terrorizzata, e anche oggi è una paura che non se n’è andata del tutto. Il primo periodo è stato devastante, mentre i miei coetanei erano liberi, io ero in un tunnel: avevo paura a fare la spesa, figuriamoci frequentare l’università.