"Angela Celentano è in Turchia". L'uomo che si finge suo padre, caso riaperto
La gip ha ordinato di riaprire le indagini. Trovano riscontri le testimonianze, interrogato l'uomo sbagliato. La confessione di un prete in punto di morte
Scomparsa Angela Celentano, l'isoletta turca e la falsa identità
Si riapre in maniera clamorosa uno dei più misteriosi casi di cronaca del nostro Paese, quello relativo alla scomparsa di Angela Celentano, la bimba di 3 anni sparita il 10 agosto 1996 e mai più ritrovata. Quel terribile giorno - si legge sul Corriere della Sera - partecipava a una gita organizzata dalla Comunità frequentata dai suoi genitori: quella della Chiesa evangelica pentacostale di Vico Equense, vicino a Napoli. Da un momento all’altro più niente, la piccola svanisce nel nulla. E in questa storia infinita di finte piste, Dna, appelli, indagini e segnalazioni senza risultato, ora c’è un nuovo colpo di scena. La giudice delle indagini preliminari di Napoli si è rifiutata di chiudere l’ultimo filone d’inchiesta ancora aperto per il quale la Procura aveva chiesto l’archiviazione. Erano scampoli di un’indagine sulla cosiddetta "pista turca" avviata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea nel 2009 a seguito dell’iniziativa privata di una signora.
Lei - prosegue il Corriere - (nessun legame di parentela o di amicizia con la famiglia Celentano) ha sempre detto di aver raccolto le confidenze di un prelato (don Augusto) che a sua volta le aveva raccolte da una donna nel confessionale. "Mi disse: non posso tenermi questo peso sulla coscienza. E così dopo la sua morte decisi di andare in Turchia a verificare il suo racconto. Aveva detto la verità", giura la signora che ha fatto riaprire il caso. E cioè: Angela sarebbe stata rapita e vivrebbe "su un piccolissimo isolotto turco che si chiama Buyukada, con un uomo che crede sia suo padre". In sostanza: è stato interrogato l’uomo sbagliato. O per dirla con la giudice: "A Fafhi Bey viene attribuito l’interrogatorio di Fahri Dal". Ecco. C’è abbastanza per ricominciare daccapo. Dopo 26 anni e mezzo. E così, spiega la gip: siccome "permangono elementi di dubbio" e "in sede di rogatoria emerge una discrasia che resta priva di logica spiegazione", è il caso che "il pubblico ministero indaghi altri sei mesi e sciolga i nodi".