Carceri, il racconto di un ex detenuto: "I corpi ammassati, il caldo, le botte. Avevo già annodato il cappio..."
Claudio Bottan, oggi vicedirettore della rivista Voci di dentro, racconta la sua detenzione nelle carceri italiane: "Gli abusi fanno male più all’anima che al corpo. La scrittura mi ha salvato"
Carceri: intervista a Claudio Bottan
Carceri, il racconto di un ex detenuto: "I corpi ammassati, il caldo, le botte. Anche io avevo già annodato il cappio..."
“Il momento peggiore è l’estate, quando tutto si ferma. 'Neanche un prete per chiacchierar', per dirla con Celentano. Celle sovraffollate, con 40 gradi senza un filo d’aria, dove si deve convivere forzatamente con altri corpi, che hanno bisogni, esigenze, abitudini proprie. Ricordo un’estate nel carcere di Rebibbia trascorsa in sei in una cella pensata per quattro. Ma la parola sovraffollamento non è sufficiente. Il sovraffollamento è quello che vediamo sulle spiagge, al supermercato o in discoteca. Bisognerebbe trovare altre parole per descriverlo, anche per non anestetizzare il dialogo. È piuttosto un accatastamento di corpi”. Claudio Bottan, ex detenuto, oggi vicedirettore della rivista Voci di dentro, ha accettato di parlare della sua esperienza all'indomani della pubblicazione del Rapporto Antigone sulla situazione delle carceri in Italia.
“Il mio lungo tour delle prigioni è durato sei anni e mezzo, con continui trasferimenti nelle prigioni della Penisola e frequenti soggiorni nelle celle di isolamento, la prigione nella prigione, prima di ottenere la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. Sono libero da poco più di un mese, dopo aver scontato oltre dieci anni di pena per reati fallimentari, anche se in realtà sono sempre stato libero, anche in galera, dove era imprigionato il mio corpo ma non la dignità e nemmeno la determinazione a non sprecare il dolore”, dice Bottan.
Quando è nata e come opera Voci di dentro?
Voci di dentro è una associazione che dal 2008 si occupa degli ultimi, coloro che provengono da situazioni di marginalità sociale. I volontari sono formati per seguire detenuti ed ex detenuti affidati all’associazione in misura alternativa al carcere che partecipano a laboratori di scrittura, lavori di pubblica utilità, digitalizzazione di manoscritti, e alla redazione della omonima rivista. Nata dall'impegno coraggioso di Francesco Lo Piccolo, giornalista e presidente della onlus, questa pubblicazione si erge a baluardo della giustizia e dei diritti umani, offrendo una voce a coloro che il sistema penale ha ridotto a mera “cosa”, privandoli della loro umanità.
Attualmente le persone affidate a Voci di dentro sono una trentina, oltre a giovani universitari in tirocinio e in servizio civile. I laboratori di scrittura nelle carceri di Chieti, Pescara e Lanciano rappresentano una delle principali attività dell’associazione Voci di dentro e contestualmente un osservatorio privilegiato che ci permette di toccare con mano le contraddizioni di un’istituzione totale che ha la pretesa di “trattare” le persone, come fossero un rifiuto da trasformare in qualcos’altro. Varchiamo quotidianamente quei cancelli che separano i buoni dai cattivi per portare avanti progetti di inclusione sociale; talvolta ci siamo spinti oltre e abbiamo partecipato a visite ispettive, siamo entrati nelle celle e abbiamo visto i corpi ammassati sui letti a castello a guardare il soffitto.
Ci siamo immersi come palombari nella sofferenza, cercando di trattenere il fiato per il tanfo nauseabondo, e ne siamo usciti storditi dal rumore assordante di voci che si accavallano, televisori perennemente accesi, cancelli e blindati che sbattono.
Durante la tua detenzione racconti di aver combattuto con le uniche armi che avevi a disposizione, carta e penna...
Inizialmente non accettavo la condizione che stavo vivendo e mi ribellavo con gli unici strumenti che avevo a disposizione: carta e penna, con cui raccontavo ciò che mi circondava. Come l’inviato di guerra sentivo l’obbligo di descrivere uno scenario dominato da violenza e indifferenza, sofferenza e repressione. La disperazione che portava all’autolesionismo con corpi sfregiati dai tagli, bocche cucite (e non in senso figurato…) e genitali inchiodati agli sgabelli, fino ai tentati suicidi e quelli – molti - riusciti. E poi le botte. Calci, pugni e manganellate fuori dalla portata delle telecamere; abusi che fanno male più all’anima che al corpo.
La scrittura è un’attività disturbante per l’amministrazione penitenziaria, che si libera dal fastidio del ficcanaso trasferendo altrove il “problema”: ho fatto tappa in nove carceri diverse. Denunciare mi è costato molto, ma non avrei mai potuto girare la testa dall’altra parte. Oggi non sarei in pace con la coscienza se non avessi scritto dei soprusi, delle violenze e dell’illegalità diffusa nelle carceri. La scrittura mi ha salvato, mi ha permesso di rendermi utile aiutando gli altri, soprattutto gli stranieri e coloro che, abbandonati a sé stessi, avevano difficoltà a far valere i propri diritti. Scrivere mi ha salvato dalla sottile violenza psicologica fatta di mancate risposte alle “domandine”, di incertezze e lettere che si perdono, di telefonate interrotte e colloqui bloccati senza motivazioni plausibili, uno stillicidio che demolisce i soggetti più deboli. E anche quelli apparentemente forti.
Avevo già annodato alle grate della finestra del bagno il cappio fatto con le strisce di lenzuolo; ci è voluto tempo a prepararlo di nascosto, tempo per cogliere il momento giusto, quando tutti erano fuori dalla cella per qualche ragione. Ma in carcere il tempo abbonda. Non ho avuto il coraggio per dare il calcio definitivo allo sgabello e chiudere gli occhi, qualcosa mi ha fermato un secondo prima. Da allora ho deciso che avrei trasformato la rabbia in energia mettendomi a disposizione di chi avesse bisogno.
In uno dei tuoi incontri hai conosciuto Simona...
In occasione di una intervista ho conosciuto Simona, la mia compagna. Insieme da alcuni anni incontriamo studenti di scuole e università in tutta Italia per raccontare la storia semplice di un ex detenuto uscito dal carcere attraverso la porta del cambiamento e di una travel blogger in carrozzina che, a dispetto della malattia, non ha rinunciato alla passione per i viaggi. La premessa per i ragazzi spesso è: “Avete presente la serie Mare fuori? Bene, adesso scordatevi tutto e ascoltate cos’è il carcere per davvero”. Non solo i giovani, ma anche molti adulti si stupiscono quando scoprono, ad esempio, che non è vero che in carcere si mangia e si beve gratis. Il soggiorno in galera costa e il conto arriva presto come ho raccontato recentemente.
Uno dei drammi del carcere al quale non si riesce a mettere argine è quello dei suicidi...
L’associazione Voci di dentro non interrompe le attività durante l’estate proprio perché abbiamo capito che è il momento peggiore e bisogna in qualche modo colmare il vuoto di speranza, quello che determina non a caso un incremento dei suicidi. Dall’inizio del 2024 quelli ufficiali sono già arrivati a 58, poi ci sono le decine di morti per “cause da accertare” e sei suicidi tra gli appartenenti alla polizia Penitenziaria. Un’emergenza umanitaria che pare non interessare a nessuno, sicuramente non al Governo impegnato a introdurre nuove fattispecie di reato.
Non trascuriamo poi le parole pronunciate dal presidente della Repubblica: “Vi è un tema che sempre più richiede vera attenzione: quello della situazione nelle carceri". Basta ricordare le decine di suicidi, in poco più dei sei mesi, quest'anno. Condivido con voi una lettera che ho ricevuto da alcuni detenuti di un carcere di Brescia: la descrizione è straziante. Condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza. Indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l'Italia. Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, non va trasformato in palestra criminale.
Esiste una soluzione?
La soluzione alla condizione delle carceri deve prescindere dal populismo penale, occorre intervenire urgentemente con interventi deflattivi. Parlare di amnistia e indulto equivale a bestemmiare, ma è già tardi, non c’è più tempo per pensare all’edilizia penitenziaria, all’utilizzo delle caserme dismesse e a fantasiose soluzioni come il rimpatrio dei detenuti stranieri: i Paesi d’origine non li vogliono. È in discussione la proposta di legge di Roberto Giachetti, supportata anche da Rita Bernardini, che mira a modificare il sistema di detrazione di pena per la liberazione anticipata dei detenuti che passerebbe dagli attuali 45 giorni a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata avendo dato prova di partecipazione alle attività rieducative.
E infine la soluzione più logica: carceri a numero chiuso. Attualmente ci sono 62 mila detenuti stipati in 47mila posti, si consentano nuovi ingressi solamente quando si liberano posti dando la precedenza ai condannati per i reati più gravi. I suicidi in carcere non sono una calamità naturale, come lascia intendere il ministro Nordio, ma un fatto prevedibile e strettamente connesso alle condizioni disumane e degradanti in cui sono costrette a vivere le persone detenute. E' necessario che di carcere si continui a parlare fuori dai soliti circuiti tra addetti ai lavori in cui ci si parla addosso, per questo abbiamo scelto di farlo nelle scuole e nelle piazze incontrando i giovani e la gente comune utilizzando parole comprensibili, anche se a volte in maniera apparentemente fin troppo diretta: “Cosa succederebbe se in una piccola città come Chieti ci fossero stati 60 suicidi in pochi mesi? Probabilmente sarebbe evidente che c’è un problema da affrontare”.
Il volontariato dovrebbe fare rete, invece ogni realtà cura il proprio orticello a discapito del bene comune. Il mio impegno in difesa dei diritti umani non cesserà con il fine pena. Sono convinto che ognuno debba fare la propria parte rimettendo in circolo il bene ricevuto, solo così si chiude il cerchio.