Carol Maltesi, l'assurdità delle attenuanti a chi fa a pezzi una donna

La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha riconosciuto all'imputato le attenuanti generiche nonostante l'efferatezza del delitto

L'opinione di Elisabetta Aldrovandi*
Fonte ipa
Cronache

Omicidio Carol Maltesi, al suo killer 30 anni di carcere. Le motivazioni della sentenza 

La Corte d’Assise di Busto Arsizio ha deciso: Davide Fontana, imputato per l’omicidio di Carol Maltesi, uccisa a martellate e sgozzata nel gennaio 2022, quindi fatta a pezzi, nascosta per settimane in un freezer acquistato per l’occorrenza e poi messa in un sacco del pattume e abbandonata per strada, è stato condannato a 30 anni di carcere (che, in fase di esecuzione, saranno sicuramente molti di meno).

Il Pubblico Ministero e le parti civili costituite avevano chiesto l’ergastolo: una pena prevista dal nostro ordinamento in caso di omicidio aggravato, anche in virtù del fatto che, da agosto 2019, chi commette uno o più delitti puniti con la pena massima non può più accedere al rito abbreviato, che consente uno sconto di pena automatico di un terzo, ma deve affrontare il processo ordinario.

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I giudici, in questo caso, hanno deciso di considerare l’attenuante derivante dal fatto che l’imputato “si sarebbe reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali, e ciò ha scatenato l’azione omicida”.

In pratica, con il suo comportamento sessualmente libero Carol si sarebbe servita del Fontana, il quale, sentendosi usato, sarebbe stato “indotto” a ucciderla. Anzi, non soltanto a toglierle la vita a colpi di martello in testa e sul corpo, ma a tagliarle la gola, per poi depezzare il cadavere, congelarlo e liberarsene settimane dopo infilandolo in un sacco della spazzatura, gettato in un dirupo.

Insomma, questa sorta di “reazione” scatenata dalla frustrazione per lo sfruttamento della vittima nei suoi confronti non si sarebbe esaurita con la sua uccisione, ma sarebbe proseguita nelle settimane successive, durante le quali il Fontana, con certosina organizzazione, avrebbe nascosto il cadavere, fino a che, calmatesi le acque, se ne sarebbe liberato.

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Da donna, avvocato, docente di criminologia e vittimologia, da essere umano, non condivido che in uno Stato di diritto possano “giustificarsi” attenuanti per crimini così efferati perché la vittima avrebbe “scatenato”, con la sua condotta disinibita e con lo “sfruttamento” dei sentimenti altrui, la condotta dell’assassino.

Una condotta peraltro caratterizzata da incredibile ferocia, per le modalità di esecuzione del delitto e per il comportamento tenuto nelle settimane successive. Se ne sarà tenuto debito conto nel decidere la pena? Non lo so. Dubbi ne sorgono, e parecchi. E intanto, viene da dire che no, giustizia non è stata fatta. E che troppo spesso, i ruoli di vittima e carnefice vengono confusi, mentre i contorni, soprattutto nei casi di omicidi caratterizzati da particolare efferatezza, sono e devono rimanere ben nitidi. 

*Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime 

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