Caso Ramy, il tramonto dello Stato moderno nella gogna politica dei carabinieri alla guida di Volpe 60
Le condanne politiche dell’agito dei carabinieri alla guida della Volpe appaiono quantomeno affrettate, sicuramente inopportune. Il commento
Caso Ramy: la giustizia sotto processo nel tribunale della politica
Non è uno scandalo che la Procura indaghi per omicidio i carabinieri alla guida di Volpe 60, la volante che ha inseguito e speronato lo scooter a bordo del quale sfrecciavano Fares Bouzidi e Ramy Elgaml prima dell’incidente che purtroppo ha causato la morte di quest’ultimo. Lo impone la Costituzione, in un sistema processuale in cui l’azione penale è obbligatoria. Ciò che deve indignare (anzi: turbare) è la supponenza con cui, dopo la diffusione dei filmati dell’inseguimento, alcuni esponenti politici sono corsi a condannare pubblicamente i militi che hanno condotto l’inseguimento, prima che l’indagine e un eventuale processo facciano il proprio corso.
Ilaria Salis, eurodeputata di Alleanza Verdi Sinistra con due condanne definitive, in Italia, per invasione di edifici e per resistenza a pubblico ufficiale (lo stesso reato per cui è indagato Fares), sottratta dall’immunità parlamentare a un procedimento per lesioni aggravate in Ungheria, ha scritto che «le parole dei Carabinieri, e ancor più il loro comportamento, sono inaccettabili in un paese civile». Per Beppe Sala, sindaco di Milano, le immagini dei carabinieri che non lasciano andare un motorino a velocità folle nelle vie del centro della sua città, danno un «brutto segnale». Il suo consulente alla sicurezza, Franco Gabrielli, si spinge oltre e sancisce che l’inseguimento non è stato condotto in maniera «corretta» perché «c’era una targa» che avrebbe successivamente permesso l’identificazione del veicolo. E, soprattutto, perché avrebbe violato il principio di «proporzionalità», che è un «principio fondamentale di civiltà giuridica», in ragione del quale le forze dell’ordine possono addirittura «utilizzare un’arma se è in pericolo una vita ma non possono mettere a repentaglio la vita di una persona solo perché sta scappando». Gabrielli è stato capo della polizia: sa certamente quel che dice.
Tuttavia, nel nostro sistema giuridico, il parametro per valutare se un’azione è «corretta» è costituito dalla legge, dai regolamenti e dall’interpretazione che ne offre la Cassazione. L’articolo 53 del codice penale riconosce alle forze dell’ordine addirittura la possibilità di usare le armi, o altro mezzo di coazione, se ciò è «necessario» per «respingere una violenza o vincere una resistenza all'Autorità». La Cassazione ha stabilito che la fuga per evitare l’arresto, o per sfuggire a un posto di blocco, se concitata, può integrare gli estremi di una «resistenza all’Autorità» e deve essere neutralizzata con mezzi proporzionati. In più d’una sentenza, poi (2000, 2003, 2014), la stessa Cassazione ha ritenuto proporzionati perfino gli spari quando, per le modalità della fuga, i fuggitivi mettano a repentaglio l’incolumità o la vita di terzi, anche con manovre spericolate. Nei filmati a disposizione, il T-Max guidato da Fares schizza a velocità supersonica per alcune delle vie più trafficate di Milano, si fionda attraverso innumerevoli incroci con il semaforo rosso e sfiora alcune vetture in movimento.
Chi scrive sarebbe proprio curioso di trovare qualcuno disposto a negare che la sua fuga spericolata abbia messo in pericolo l’incolumità di pedoni, automobilisti e altri utenti della strada. In fior fiore di pagine che trattano del principio di proporzionalità in casi simili, poi, i giudici del Palazzaccio non considerano mai come valida l’opzione di rinunciare all’inseguimento e accontentarsi del numero di targa di un veicolo che fugge all’impazzata alla vista di una paletta rossa. Chi forza un posto di blocco, per definizione, si sottrae ai controlli. Non essendo la chiaroveggenza un requisito di ammissione all’Arma, i carabinieri non possono sapere se il veicolo sia rubato, se chi lo guida nello zaino nasconda una catenina e quasi mille euro in contanti (come parrebbe nel caso di Fares, senza patente e sotto l’effetto di droghe) oppure un kalashnikov da scaricare su una vittima prescelta, che potrebbe essere salvata. Per questo, quelle stesse sentenze della Cassazione hanno stabilito che chi forza un posto di blocco diventa un sospetto: va inseguito e neutralizzato, come ha confermato ad Affaritaliani anche Vincenzo Romeo, segretario nazionale di PSC Assieme.
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Le condanne politiche dell’agito dei carabinieri alla guida della Volpe 60 allora, appaiono quantomeno affrettate, sicuramente inopportune. E quindi preoccupanti, se provenienti da sindaci, parlamentari, vertici amministrativi e altri appartenenti alle istituzioni (come è istituzione l’Arma dei Carabinieri). Perché il principio di “proporzionalità” sarà pure un elementare principio di civiltà giuridica ma i capisaldi su cui regge la struttura degli Stati moderni sono altri. Il primo, fondamentale, è che, come insegna Weber, allo Stato spetta il «monopolio nell’uso legittimo della forza». Da impiegare – ovviamente con proporzionalità – per contrastare e prevenire l’uso illegittimo che ne fanno i delinquenti. Come illegittimo (e pericoloso) era (o quantomeno poteva apparire) l’uso della forza (di velocità) fatto dal conducente del T-Max per fuggire ai controlli. Secondo caposaldo dello Stato moderno è il contrattualismo hobbesiano. Anche nelle democrazie più liberali, la maggioranza degli individui rinuncia a parte delle proprie libertà a favore dello Stato, per ottenerne in cambio protezione e sicurezza. Cosa ne sarebbe del patto sociale se bastasse dare due sgassate ai semafori rossi per seminare la polizia e assicurarsi l’impunità? A inseguire i delinquenti non sarebbero più dei professionisti, ma i privati cittadini, che dovrebbero pur sopravvivere e difendere sé stessi e i frutti del proprio lavoro. Stato di natura, homo homini lupus, vendetta privata. Com’era quando dormivamo nelle caverne.
L’unico bagliore di platonica lucidità proviene dalle parole della senatrice Cucchi, che si chiama Ilaria e appartiene ad AVS come la Salis e che, suo malgrado, sa di cosa parla come Gabrielli (a riprova che il buon senso non dipende dal colore politico). Per ora è sua l’unica voce a sinistra che si dichiara «ben lontana dall’invocare la condanna dell'autista della gazzella coinvolta nell'incidente», applicando un doveroso distinguo tra l’operato di quest’ultimo e quello dei colleghi che avrebbero riportato il falso nei verbali e costretto un testimone a cancellare delle prove. Speriamo faccia proseliti.