Chiesa, il Vaticano abbandona il latino per l’italiano: colpo alla tradizione

Fino a poco tempo fa se si andava su Wikipedia e si cercava il lemma "Vaticano" alla voce "lingua ufficiale" si trovava scritto "latino", ora non più...

Di Giuseppe Vatinno
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Papa Francesco
Cronache

Il Vaticano abbandona il latino per l’italiano: colpo alla tradizione della Chiesa 

Fino a poco tempo fa se si andava sul nuovo Oracolo dei Tempi moderni e cioè Wikipedia, e si cercava il lemma “Vaticano” alla voce “lingua ufficiale” si trovava scritto “latino”. Ora se si compie la stessa azione si trova scritto “Italiano e latino”.  Qualche giorno fa, sul quotidiano cattolico dei vescovi, Avvenire, Andrea Fagioli, direttore del settimanale Toscanaoggi, ha pubblicato un per altro bell’articolo dal titolo “Accademia della crusca. La lingua italiana va a gonfie vele sulla barca di Pietro”.

La notizia a supporto era quella che l’Accademia della Crusca aveva organizzato un convegno di tre giorni a Firenze su “L’italiano, la chiesa, le Chiese”. La sede era indubbiamente suggestiva, un’Opera di Santa Maria del Fiore, di fronte al Battistero di San Giovanni.

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Rita Librandi, vicepresidente della Crusca ha dichiarato: “Si è guardato ai legami tra religione e letteratura, alla trasmissione dell’italiano attraverso la predicazione e la catechesi, ai testi della letteratura di devozione che sono stati per secoli i più stampati e letti dagli italiani, alle scritture religiose delle donne, destinatarie privilegiate di testi religiosi grazie ai quali hanno trovato, in tempi in cui non era per loro facile, l’accesso al sapere, uno stimolo alla lettura e alla produzione scritta. Inoltre, la necessità di comunicare con i fedeli e la cura della loro istruzione religiosa hanno reso necessario utilizzare con il popolo una lingua che altrimenti sarebbe stata privilegio di pochi”.

La presenza di due Cardinali di rango, Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e già Sottosegretario della CEI, insieme a Gianfranco Ravasi, Presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, indicavano l’interesse del Vaticano per l’iniziativa. Il tema trattato era quello dell’italiano che ha trovato un nuovo formidabile strumento di propagazione internazionale grazie alla “barca di Pietro” che lo trasporta per il mondo.

E se questa cosa è indubbiamente buona per il nostro idioma che acquista nuova visibilità e prestigio all’estero non altrettanto buona cosa è per la Chiesa cattolica che, parimenti, sta abbandonando la sua lingua ufficiale, cioè il latino. Nell’articolo si giunge a lodare il Papa per aver scritto l’incipit della sua più famosa enciclica, la Laudato sì, per la prima volta in italiano e non in latino, sull’abbrivio del Cantico di Frate Sole di San Francesco d’Assisi.

E poi colpisce la considerazione fondamentale che fa il giornalista: “l’italiano sta diventando per la Santa Sede la lingua originale della produzione di testi dichiarativi e normativi”. Bene per l’italiano, male per il latino, malissimo per la Chiesa. La perdita del latino è infatti solo la punta dell’iceberg del formidabile processo di desacralizzazione della Chiesa cattolica peraltro in atto dal Concilio Vaticano II. Ad esempio, nella recente intervista del direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci a Papa Francesco, si è parlato di tutto ma non di Dio, che dovrebbe essere, immaginiamo, l’argomento principe.

Il Papa, occorre dirlo, ha mostrato una eccezionale competenza nel calcio ed ha individuato nella figura di Pelè quella del più grande giocatore del mondo, ma in quasi un’ora, appunto, mancava proprio Dio, come se fosse qualcosa di estraneo e fuori contesto e probabilmente lo era davvero in una intervista giornalistica sull’attualità e sul Pallone d’Oro. Ma la “perdita di Dio” è un portato del processo di desacralizzazione di cui dicevamo prima. La Chiesa vive di simboli, di suggestioni mistiche, di poesia, appunto di sacralità. La perdita del latino è dunque il pericolo più grande che corre una istituzione che “va dietro al secolo”, invece di plasmarlo e indirizzarlo, come dovrebbe essere dal suo punto di vista.

Se infatti la religione diventa una cosa scontata e il Vaticano un partito politico e il Papa un commentatore calcistico, peraltro meglio di tanti altri, cosa resta del “mistero della croce” e della bellissima poesia di David Maria Turoldo indirizzata al «Fratello ateo, non nobilmente pensoso, / alla ricerca di un Dio che non so darti, / attraversiamo insieme il deserto. / Di deserto in deserto andiamo oltre / la foresta delle fedi, / liberi e nudi verso / il Nudo Essere / e là / dove la parola muore / abbia fine il nostro cammino»?