Strage di Erba, caso Cerciello e Yara: quando il processo diventa spettacolo e la pena anticipa la condanna 

In altri tempi con i “sistemi” inquisitori, il processo era scritto e segreto; al contrario l'esecuzione delle pene era pubblica e spettacolare... Ora il cambio di paradigma (tra social e gogna mediatica) è sempre più evidente

di Augusto Conte*
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Tribunale e Processo
Cronache

Giurisprudenza difensiva e spettacolarizzazione dei processi (meglio condannare che assolvere). Il commento 

Il processo ha sempre costituito materia, argomentazione tematica e modello strutturale centrale di opere, espositive o narrative, di quello che si svolge nelle aule dove si amministra la giustizia: il mito, la storia, l'epica, il teatro, i drammi, le parodie e finanche la poesia, sono state attratte dalle vicende, virtuose o viziose, positive o negative, edificanti o deludenti, in una prospettiva di osservare e osservarsi su fatti di rilevanza personale e sociale, occasioni per dibattere sistemi di vita, di verità, di politica, di giustizia.

Dal processo descritto da Omero nello scudo di Achille, nel quale è descritta la causa per il giusto risarcimento di una morte e dal processo per ottenerne l'eredità tra Ulisse e Aiace Telamonio, descritto da Ovidio nelle Metamorfosi; al processo di Oreste per l'uccisione della madre Clitennestra e del suo amante Egisto; al processo di Socrate per lesa maestà e corruzione dei giovani, al processo a Temistocle, per tradimento; dal processo contro il Decemviro Appio Claudio, coautore delle XII Tavole, per la seduzione di Virginia, uccisa dal padre per sottrarla al potere e alla vergogna, al processo di Orazio, per perduellium, lesa maestà del padre, per avere ucciso la sorella Orazia, innamorata di uno dei cugini Curiazi sconfitti dal fratello, avendogli negato l'osculum, il bacio, al vincitore; al processo contro gli Scipioni, per peculato e a quelli contro Verre e Catilina, pure per peculato; dal processo a Gesù, per lesa maestà; dal processo a Dante Alighieri e figli, per abusi e tradimento; dal processo a Galileo Galilei, per eresia; dal processo di Norimberga ai criminali nazisti, al processo nella Repubblica Sociale di Salò di Verona contro i gerarchi fascisti, si è ritornati ai processi di piazza e si è passati ai processi televisivi, sui fatti di cronaca che il popolo può seguire, immaginandosi e creandosi una ragione propria nella piazza del villaggio collettivo di Herbert Marshall Mc Luhan, offerti dai mezzi di comunicazione.

Ultimamente quello che “impressiona” il pubblico sono le assoluzioni o le pene miti, e non le condanne, pesanti ed “esemplari”, a seguito dei processi dei Tribunali e delle Corti di Appello per reati a danno del Carabiniere Cerciello Rega, a Roma, e provincia, per Serena, vittima di omicidio attribuito ai Mottola, a danno di vitttime di Rigopiano, a L'Aquila, o le richieste di revisione delle sentenze di condanna, di Bozzetti, condannato per l'omicidio di Yara, e per i coniugi Romano e Bazzi per la strage di Erba, che, per reazione hanno comportato inchieste sui giudici che le hanno pronunciate o sui pubblici ministeri che le hanno proposte, per riflesso “costringendo” giudici, che hanno pronunciato le decisioni, avvocati difensori, e operatori giudiziari a uscire scortati da forze dell'ordine dalle porte di servizio degli Uffici Giudiziari.

Le convinzioni popolari, espresse sui giornali, sui social o ascoltate in televisione da “opinionisti”, tra i quale anche sacerdoti, per lo più “colpevolisti” o “giustizialisti”, dove l'apprezzamento più diffuso per gli imputati, e anche per gli organi di giustizia e per i difensori, è “gettare la chiave” della prigione per finire a pronunciare “dovrebbero impiccarli subito sulla pubblica piazza”, costituiscono un pericolo per la autonomia e indipendenza dei giudici, che pronunciano in nome del popolo italiano, ma non quello che dice o vuole il popolo italiano, e per la obbligatorietà e la irrinunciabilità della difesa, diritto, e dovere, costituzionale che spetta anche ai rei confessi.

Perchè la conseguenza, per spiegare l'antinomia apparente del titolo che precede questa nota, comporta un condizionamento e una sorta di giurisprudenza difensiva, un termine mutuato dal campo medico, dove il professionista sanitario richiede ricoveri e prescrive analisi ingiustificati, nel senso che, più il giudice monocratico che giudica in solitudine, meno l'organo collegiale, per evitare la “gogna mediatica”, le querele o i procedimenti disciplinari, preferiscono condannare o rigettare le richieste di revisione, “tanto ci sono i successivi gradi di giudizio”, creando i presupposti per lo scandalo per le assoluzioni in appello o gli annullamenti in cassazione.

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In altri tempi, con i “sistemi” inquisitori, il processo era scritto e segreto; al contrario, la esecuzione delle pene era pubblica e spettacolare, eseguita con la forca o la mannaia in presenza di pubblico, intimidito e curioso, al quale doveva essere di esempio nell'evitare di incorrere in delitti.

In tempi “moderni” è il processo a offrire spettacolo e la pena di solito anticipa la condanna, anche se questa non sarà pronunciata a seguito del processo.

La spettacolarizzazione dei processi, incide enormemente sul giudice, specie quello “popolare” che compone le Corti di Assise, che è un essere umano e non chiuso in una torre di avorio impenetrabile, specie quando, andando al di là della consentita critica ai provvedimenti, viene analizzata, sminuzzandola, la persona degli imputati, dei difensori, che “meriterebbero di stare in carcere come i loro assistiti”, e soprattutto del giudice o dei giudici, esplorando i loro principi di vita e le loro “idee” politiche e denigrando le prestazioni professionali dei difensori che assistono i presunti colpevoli, dimenticando che l'avvocato non difende il reato ma la persona del reo.

*Avvocato