L'Italia ricorda Falcone, lo storico Lupo: "Non credo alla fine della mafia"
A 32 anni dalla strage di Capaci il presidente Mattarella parla di una mafia "destinata a finire". È possibile? Parla l'esperto di Cosa nostra Salvatore Lupo
Strage di Capaci/ Il mafiologo Lupo risponde a Mattarella: "Fine del fenomeno? Non sono ottimista"
“La Repubblica ha dimostrato che la mafia può essere sconfitta e che è destinata a finire”. Una frase potente, con cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordare la strage di Capaci del 23 maggio 1992 in cui persero la vita, insieme al giudice Giovanni Falcone, la collega Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Uno spiraglio che fa intravedere il Paese sgombero dal fenomeno mafioso; ma un orizzonte in cui la legalità può dirsi completamente ripristinata è possibile? Le ultime maxi-inchieste in Puglia e in Liguria sembrano dimostrare il contrario: Affaritaliani.it ne ha parlato con Salvatore Lupo, storico italiano considerato fra i massimi esperti nei temi di mafia e fascismo.
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Professore, come possiamo interpretare le parole di Mattarella? Davvero la mafia è “destinata a finire”?
Bisogna vedere cosa si intende per mafia. Che sparisca ogni tipo di fenomenologia mafiosa in senso lato, come fenomeno criminale affaristico e di cattiva politica... beh, non credo si possa essere così ottimisti. Se usciamo da questa concezione radicale, invece, è vero che la mafia come fenomeno storico radicato, con una soggettività, si trova in una cattivissima situazione.
Sicuramente il Presidente della Repubblica si riferiva a questi fenomeni che noi identifichiamo ‘ndrangheta, Cosa nostra, camorra... . Cosa nostra, in particolare, ha subito duri colpi negli ultimi anni.
Parla dell’arresto di Matteo Messina Denaro?
In realtà è da 30 anni che Cosa nostra è stata messa sotto l’attenzione dell’autorità. I suoi appartenenti non hanno ricostituito gli organismi dirigenti, i quadri sono stati arrestati, della strategia del terrore che l’ha caratterizzata nel caso di Falcone, per esempio, non c’è più traccia.
Basti pensare, più in generale, alla curva dei reati di sangue: negli ultimi decenni è collassata, è questo è un indicatore formidabile. Ecco perchè dire che Messina Denaro fosse il successore di Riina mi pare una formula giornalistica, che non ha riferimento con una realtà appurabile. Ed ecco perchè voler individuare il suo successore non tiene conto di quello che è successo nel frattempo.
Dai report della Direzione distrettuale antimafia, però, emerge uno scenario preoccupante, si racconta di un fenomeno mafioso sempre più in espansione. Come si spiega?
Sicuramente ci sono fenomeni mafiosi, ma non hanno relazione per magnitudine e aggressività con quello che è successo a Falcone. E aggiungo un’altra cosa: quello che noi vediamo è la presenza in alcune reti di malaffare di “spezzoni” di questi gruppi, rispetto al passato sicuramente sbiaditi. Ovviamente anche se sono fenomeni deteriori vanno contrastati perchè sono pericolosi e potrebbero diventarlo ancora di più: la mafia è diventata un grande nemico perchè non è stata contrastata, essenzialmente.
Pensa agli ultimi scandali che hanno travolto la politica pugliese e ligure?
La mafia è cambiata, quello che succede adesso non somiglia lontanamente per dimensione e aggressività a quello che succedeva allora. Sicuramente c’è ancora infiltrazione dei gruppi mafiosi nel malaffare politico e imprenditoriale, ma non sappiamo se hanno una funzione marginale o centrale. Per quanto riguarda lo scandalo ligure, infatti, non sappiamo se il gruppo di Riesi abbia avuto una funzione centrale o accessoria nel sistema corruttivo. E poi: c’è una tendenza a far passare la corruzione politica per mafia: ci può essere una ridefinizione del concetto di mafia; ma le parole hanno un significato, quindi se decidiamo di cambiarlo dobbiamo rendercene conto.
Il Governo, con le riforme sulla giustizia del ministro Nordio sta dando un messaggio sbagliato?
Partiamo con il dire che delle riforme si discute tanto ma molte ancora non sono state varate. Per quanto riguarda il regime carcerario del 41-bis, per esempio, il mio parere è che sia ragionevole un addolcimento di questi sistemi molto duri, se è stato appurato essere contrari a principi di civiltà giuridica. Ma penso anche che i complessi meccanismi di contrasto alla criminalità organizzata messi in atto decenni fa non debbano essere smantellati: un totale disarmo, come sento tanto invocare, è sbagliato.