Politica
La famiglia Borsellino spaccata sulla ricostruzione della morte del giudice
Il fratello del magistrato antimafia Paolo Borsellino replica in Commissione parlamentare Antimafia alle dichiarazioni del legale dei figli, Fabio Trizzino
Via D'Amelio, scontro in famiglia sui moventi. Salvatore Borsellino: "Da Trizzino parole sconcertanti su Scarpinato"
Ci son lutti che uniscono le famiglie, altri che le dividono, e che magari riportano alla luce vecchie ferite mai ricucite. Ed è quello che è accaduto per i parenti di Paolo Borsellino, il giudice antimafia assassinato nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992.
Sulla sua morte si sono scritti libri di storia, celebrati processi, ma non si è mai arrivati a una verità definitiva. Motivo per cui nelle scorse settimane e oggi sono stati ascoltati per ore e ore in Commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo, alcuni membri della famiglia di Paolo Borsellino sulla quale è ufficialmente calata la scure della divisione: da un lato i figli, Fiammetta, Lucia e Manfredi, assistiti dall’avvocato Fabio Trizzino (quest’ultimo ascoltato in Commissione). Dall’altro lato il fratello di Paolo, Salvatore, rappresentato dall’avvocato Fabio Repici. A dividerli? Un’eredità ben più preziosa di denaro o beni materiali, ossia la memoria di quel “qualcosa” che ha determinato la morte del magistrato. Per mano, certamente materiale, della criminalità organizzata. Ma è sull’altra mano, quella coperta che ha in qualche modo collaborato (?) alle stragi del 1992 che si sono formati due schieramenti.
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È stato proprio Salvatore Borsellino, ascoltato per la prima volta oggi in Commissione, a rivelare l’esistenza di “dissapori” all’interno del nucleo familiare: “Se ai figli di Paolo mi lega il terribile dolore per la morte annunciata e l'inopprimibile esigenza di verità, ma da essi mi divide una posizione processuale, delineata nel corso di tanti processi, arrivando purtroppo e con dolore a influire anche sui rapporti personali”. Ma quali sono queste posizioni divergenti? È noto che per il fratello del magistrato, che oggi ha avuto modo di replicare alle affermazioni di Fabio Trizzino, la traccia da seguire per risalire ai moventi dell’assassinio di Borsellino sta negli elementi che il magistrato aveva raccolto sulla “pista nera” dietro alla strage di Capaci, e su quella che è passata alla storia come “Trattativa Stato-Mafia”.
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E per Trizzino e i figli di Paolo Borsellino? La pista per risalire ai moventi delle stragi del 1992 avrebbe l’epicentro nel dossier “Mafia-Appelti”, cioè il dossier del Ros sui legami tra Cosa nostra e forze politico-imprenditoriali. Pista – peraltro – storicamente sostenuta dalla coalizione di Colosimo: per la destra, infatti, l’eliminazione del giudice è da collegare al suo interesse per “mafia e appalti”. In questo contesto il legale spinge sulla necessità di indagare anche sul “nido di vipere” della Procura di Palermo diretta da Pietro Giammanco, e su alcuni colleghi di Borsellino delle prime indagini. Borsellino, per Trizzino, non avrebbe mai permesso e non conosceva la richiesta di archiviazione di "Mafia-Appalti" del 13 luglio 1992, firmata anche da Roberto Scarpinato, oggi parlamentare M5s.
"Ho ascoltato con sconcerto le dichiarazioni fatte in questa sede nei confronti di due magistrati o meglio, un magistrato ed ex magistrato, Di Matteo e Scarpinato, a cui mi sento di dover manifestare pubblicamente la mia stima e la mia gratitudine per avere in questi anni ricercato la verità e la giustizia". "Sono ben altri i magistrati verso i quali bisognerebbe puntare il dito" ha tuonato oggi invece Salvatore Borsellino in Commissione. E ancora: “E’ dal furto dell'agenda rossa "che si dovrebbe ripartire, non dal dossier mafia e appalti che se può essere considerato una concausa non è causa dell'accelerazione di una strage che a quel punto non poteva essere rimandata".
Un'accusa, insomma, rispedita al mittente che - forse - ha un terreno ben più florido del solo avvocato Fabio Trizzino.