La storia di Gilda, un'amicizia trasformata in violenza

La testimonianza di una vittima nella Giornata internazionale per l'eliminazione degli abusi sulle donne

Di Lucrezia Lerro
Lucrezia Lerro
Cronache

Di seguito la storia che Gilda mi ha raccontato nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Fabrizio e il suo gatto rosso

Abitavo da poco in una zona di Milano che mi sorprendeva tutte le volte che uscivo di casa al mattino.
‘Via Sardegna è una meraviglia’, mi ripetevo osservandola dalla finestra al risveglio.
Vivevo a pochi passi da Piazza Piemonte, un luogo che mi interessava in modo particolare per la presenza di una libreria, per me quel negozio di libri rappresentava la più grande attrazione della zona.
Non resistevo mai alla tentazione quotidiana di comprare dei libri di saggistica.
Un pomeriggio di fine novembre, uscita dalla libreria, dove trascorrevo diverse ore del giorno, prima diedi un’occhiata ai due edifici gemelli che affacciano su Piazza Piemonte, ubicati all’angolo con via Washington. Molti anni prima avevo letto dei versi unici su quella via e grazie alla poesia me n’ero innamorata.
Poi, diedi una sbirciata anche al cellulare. Mi aveva chiamato un amico, un uomo piuttosto simpatico e gentile. Pensai di ricontattarlo subito.
“Ciao,” disse lui prontamente, “ti avevo cercato poco fa perché ci terrei a farti vedere la mia nuova casa.
Mi sono trasferito verso Malpensa. Se passi a trovarmi domani ti presento anche la mia fidanzata.
È da tanto che voglio farlo, le parlo spesso di te.”
Non so perché ma accettai immediatamente l’invito, lo feci senza esitare. Fabrizio lo conoscevo da diversi anni e mi era sembrata talmente affettuosa la "proposta" da non poterla rifiutare.
L’indomani presi un taxi e mi recai entusiasta all’appuntamento, non vedevo l’ora di scoprire la sua casa nuova. Una volta davanti alla porta notai gli addobbi natalizi, mi sembrarono prematuri, mancava quasi un mese a Natale.
Vidi da lontano, nel chiaroscuro dell’aria, la figura corpulenta di Fabrizio.
“Che bello, sei arrivata puntualissima”, urlò con un tono di voce che sprigionava un entusiasmo esagerato. Gli andai incontro. Nei paraggi della casa non c’era anima viva, sembrava che lì ci vivesse soltanto lui con la sua fidanzata.
Spinse con entrambe le mani il portone di casa, “entra”, disse sommesso. Non esitai. Fabrizio chiuse la porta a chiave e mi indicò il suo studio di fronte all’ingresso. Entrai. Svelto ci tenne a precisare che la sua convivente aveva avuto un imprevisto. Che eravamo soli in casa.
Non ebbi una bella sensazione, un pensiero negativo mi balenò per la testa, ma respirai, cercai di tranquillizzarmi.
Sulla scrivania dello studiolo un grasso gatto rosso mi fissava, accovacciato e sornione respirava a fatica. Con il piede Fabrizio chiuse la porta e senza neanche rendermene conto me lo trovai addosso, l’uomo mi spingeva al muro, ripeteva che se ero andata lì in taxi da Milano, era ovvio che ci stavo.
Cominciai a ripetergli di lasciarmi stare, che non poteva farmi del male, che eravamo amici da anni.
Che proprio lui che lavorava nel sociale, in difesa dei più deboli, non avrebbe mai dovuto fare violenza su una donna.
Il gatto fece un balzo, dalla scrivania me lo trovai sui piedi. Da una parte tentavo di liberarmi dalle mani di Fabrizio che tastavano velocemente il mio corpo, dall’altra cercavo di allontanare il micio dai piedi.
Temevo anche i suoi graffi. L’uomo aveva gli occhi venati di sangue, era eccitato, io tramortita, volevo mettermi in fuga ma non sapevo come fare a raggiungere la porta, ero bloccata dalla sua forza fisica, dalle mani nervose.
Capii di non avere una via di fuga, continuai a ripetergli di non violentarmi, che avrei trovato poi il modo di accontentarlo in un’altra occasione, ma non adesso. Mentivo affinché lui mi lasciasse andare. Escogitavo la mia difesa.
Placata la furia, Fabrizio disse che prima di accompagnarmi a casa avremmo cenato in un ristorante sperduto nella campagna padana. Mi portò lì, mangiò una bistecca al sangue, trangugiò diversi bicchieri di vino rosso. L’osservai in silenzio, speravo di tornare presto a casa. Di non patire ancora…
Un paio d’ore dopo, infilai la chiave nella toppa della porta dell’appartamento. Non dormii per tutta la notte e da allora iniziai a soffrire di claustrofobia, d’ansia sociale e di attacchi di panico.
Mi chiusi sempre più in me stessa. Decisi di non raccontare a nessuno il bruttissimo episodio, mi convinsi che per i maschilisti mondiali se vai nella tana del lupo sei un po’ come Cappuccetto Rosso.
Per costoro se accetti un appuntamento con un uomo, se vai all’incontro con le tue gambe, vuol dire che hai collaborato, che eri consenziente “all’approccio sessuale.”
Io non lo ero, ma a parte me, soltanto quel gatto rosso lo sa.

 

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