La stroncatura di Romito, addio alla casta intoccabile dell'alta ristorazione

Ripariamoci nel pollo fritto e nelle ruote alla vodka

di Simone Rosti
Ristorante sul mare
Cronache

Il futuro a rischio dell'alta ristorazione. Dalla cucina gourmet al ritorno alla tovaglia a quadretti

La recente stroncatura, ad opera del Gambero Rosso, del ristorante di Niko Romito all’hotel Bulgari di Roma è stata la cartina di tornasole del sogno svanito della grande ristorazione. Non entro nel merito delle critiche (posso solo dire che da Romito in Abruzzo sono stato due volte e ho sempre goduto senza limiti) ma questa stroncatura forse segna il passo dell’inviolabilità di una casta intoccabile che, non a caso, si è indignata come non mai. Ma facciamo un passo indietro. Ben prima del lockdown la sbornia della ristorazione era sul punto di implodere. Chef e pasticceri sono ormai oracoli che discettano di ogni cosa, celebrità che parlano più dei politici, divinità che sentenziano nei talent e nei congressi, che vediamo più in doppio petto e i capelli cotonati che col grembiule. Nessuna accusa, stanno solo cavalcando un’onda, ma le onde prima o poi tornano a riva e non resterà che la schiuma dell’euforia. Talvolta ho l’impressione che si preferisca raccontare la filosofia dei piatti e dello chef che i contenuti della cucina.

Quello che era il mio divertimento si è gradualmente sopito perché mi è stato rubato il sogno dell’esclusività. Ricordo le mie prime cene importanti, dalla famiglia Santini, da Vissani, da Pierangelini, da Marchesi, da Santin, poi sono seguiti Bottura, Romito, Uliassi, erano delle fughe dal tempo, un viaggio clandestino verso mondi ignoti ai più, erano sacrifici economici. Ma qualcosa si è rotto. Hanno un po’ stancato gli infiniti storytelling dei menù e dei singoli piatti con riferimenti extra culinari (culturali e sociologici), i lunghi menù degustazione imposti, gli chef che si sono concentrati più sullo sviluppo della loro immagine che nello stimolare curiosità gastronomiche e creare empatia con i clienti.

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Nei ristoranti stellati bianchi e candidi e tutti uguali c’è spesso impersonalità, come il ciclostile recitato al tavolo dai camerieri e dagli chef. La stroncatura di cui sopra è la prova che il banco è saltato. Lo chef Frèdèric Vardon (allievo di Ducasse), in una intervista di Alessandra Meldolesi su Reporter Gourmet, sostiene che “tutti questi ristoranti stellati ed esclusivi scompariranno poco a poco per questione di mezzi, torneremo alla padella, alla tovaglia a quadretti”, io credo invece l’alta ristorazione dopo un sano bagno di umiltà si rilancerà con modelli più sostenibili.

Non rinuncerò alle mie incursioni stellate, presenti e future, mangerò e osserverò con disincanto e se leggessi altri commenti negativi li accoglierò di buon grado se autentici. Nel frattempo mi sono riparato in altre consolazioni gastronomiche con due piatti che hanno squarciato le mie papille gustative e messo a dura prova le emozioni più profonde. Il primo, le ruote alla vodka, un tuffo negli anni ‘80, un godimento senza tempo grazie a una pasta perfetta, di una consistenza goduriosa che esplode letteralmente in bocca, di questo piatto dobbiamo rendere merito al ristorante bolognese Casa Merlò dove gli istrionici titolari Picchiotti e Tonelli sapranno strattonarvi con la loro cucina tradizionale (ma non solo), schietta, genuina, divertente, forse non avranno mai tre stelle Michelin ma il nostro cuore si. Per il secondo piatto invece andiamo a Marliana sui colli di Pistoia, all’agriturismo Il Bel Vedere. Una vista impareggiabile, il sorriso sincero dei simpatici titolari (Moreno, Michela e la figlia Martina) e un piatto perfetto - il fritto di pollo e coniglio - che rappresenta l’allegria e lo stare insieme.

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