Messina Denaro, da Gomorra a Il Padrino: il cinema "mangia" sui cattivi esempi
Da "Gomorra" al manifesto di Joker interpretato da Joaquin Phoenix, è infinito il repertorio cinematografico (ma non solo) che tratta la lotta a mafia e camorra
Matteo Messina Denaro e il cattivo esempio trattato in libri e film: l'analisi del business
In un covo di Matteo Messina Denaro è stato trovato un magnete attaccato al frigorifero di Marlon Brando nel film “Il Padrino”, vestito con smoking e con una rosa rossa nel taschino. Sotto la scritta: “Il Padrino sono io”. Poi è anche stato trovato un manifesto di “Joker” interpretato da Joaquin Phoenix nell’omonimo film insieme a fotografie di animali feroci. Insomma, il più ricercato latitante italiano era un fan di personaggi legati a lui stesso.
Analogamente il romanzo di Roberto Saviano, “Gomorra”, l’omonimo film di Matteo Garrone -la cui sceneggiatura è sempre di Saviano- e l’infinita serie televisiva di cui un attore è stato pure arrestato nella vita reale, possono destare interesse e spirito di emulazione negli spettatori.
Un altro film, per certi versi storico, che ha aperto la strada al genere è stato “Il camorrista” (1986) di un insospettabile Giuseppe Tornatore al suo esordio, che narra la vicenda umana di Raffaele Cutolo, ‘O professore di Vesuviano capo della Nuova Camorra Organizzata.
Interpretato magistralmente da Ben Gazzarra il film contiene scene di grande impatto emotivo come quella in cui l’amante di un camorrista testimone di un delitto viene sciolta calata con una gru –completamente nuda- in una vasca contenente acido in un cantiere edile. Ma torniamo a tempi più recenti.
L’allora Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, criticò la terza serie TV come diseducativa, come del resto fecero altri magistrati di primo piano impegnati nella lotta alla mafia e alla camorra. A tal proposito disse: “Credo che evidenziare i rapporti umani come se la camorra fosse un’associazione come tante altre non corrisponda a quello che realmente è, la camorra è fatta soprattutto di violenza”.
Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro invece così si espresse: “Chi produce, chi scrive si deve preoccupare di quello che è l’effetto sulla collettività. Non voglio assolutamente polemizzare con nessuno e non parlo mai di cose specifiche. Dico che la cinematografia e la televisione fanno arte e non mi metto a disquisire su questo. Il senso dei film, dei docufilm e dei libri è quello di educare. Se davanti alle scuole vediamo dei ragazzi che si muovono, si vestono e usano le stesse espressioni degli attori e dei personaggi di questi film che trasmettono violenza su violenza, mi pare che il messaggio non sia positivo. Bisogna riportare parte di ciò che accade nelle mafie, però dobbiamo all’interno dello stesso film o libro inserire qualcosa di alternativo, un messaggio che questi non sono invincibili e forti”.
Si tratta indubbiamente di giudizi critici e ben centrati. Quello che si vede nei film e si legge nei libri può affascinare i giovani e coloro che non hanno una identità etica ancora non ben formata. Si tratta di quello che potremmo chiamare “effetto Inferno” nella Divina Commedia di Dante Alighieri.
Infatti nel capolavoro dantesco l’interesse è sempre catalizzato sull’Inferno mentre il Paradiso è considerato un luogo sì di beatitudine ma sostanzialmente noioso. E naturalmente questo avviene anche in molti film, non solo sulla mafia ma anche sulla guerra.
L’industria dello spettacolo fa un mare di soldi solleticando gli istinti più bassi della popolazione. Si tratta di un business -e molte volte di vera arte- e pur ripudiando lo “Stato etico” che ficca il naso nei gusti e nel piacere dei suoi cittadini, occorre che certe riflessione vengano comunque fatte.