Messina Denaro "non era ai vertici. Riina non lo apprezzava". La rivelazione

Al processo per mafia emerge il ruolo di secondo piano in Cosa nostra del boss di Castelvetrano. L'arringa dell'avvocato e il retroscena clamoroso sulle stragi

Di Redazione Cronache
Matteo Messina Denaro
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Matteo Messina Denaro e il vero ruolo che aveva in Cosa nostra

Messina Denaro continua ad essere al centro del dibattito, mentre ci si interroga ancora sul suo arresto, tra chi crede che si sia consegnato e chi che sia stato catturato, emerge un retroscena che avrebbe del clamoroso se confermato. Si tratta del vero ruolo che il boss di Castelvetrano aveva in Cosa Nostra. "Non era ai vertici e non ha partecipato alle riunioni deliberative delle stragi". Lo sostiene - riporta il Fatto Quotidiano - l'avvocato Adriana Vella, legale d’ufficio, chiedendone l'assoluzione durante l'arringa difensiva nel processo d'appello di Caltanissetta sulle stragi. Il boss, già condannato in primo grado all'ergastolo, per la quarta volta da quando è stato tratto in arresto, non ha preso parte all'udienza. Nel corso dell'arringa, l'avvocata Vella ha cercato di dimostrare che Messina Denaro non era a capo della famiglia mafiosa di Trapani durante le stragi.

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"La sentenza della Corte di Assise di Appello di Catania – ha spiegato in Aula – sulla scorta delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, individua Mariano Agate come uno dei mandanti della strage di Capaci. Un soggetto di caratura mafiosa e di spessore all'interno della provincia di Trapani e molto legato a Totò Riina. Se Agate era tra i mandanti della strage, lo era in qualità di capo provincia o di reggente della provincia di Trapani, in sostituzione del padre dell'imputato (Francesco Messina Denaro, ndr )". Per tale motivo, secondo la difesa è "errato il giudizio di primo grado", e "la veste di Messina Denaro come reggente della provincia trapanese".

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