Processo Eni, nuovi guai per De Pasquale: "Sapeva dei teste pagati e le chat"

Si complicano le posizioni del procuratore aggiunto di Milano e del collega Sergio Spadaro che tacquero sui messaggi compromettenti di un nigeriano

Di Redazione Cronache
Fabio De Pasquale
Cronache

Processo Eni, si complica la posizione dei pm accusati. Le nuove carte

Il filone del caso Eni-Nigeria che ha messo alla sbarra il procuratore aggiunto della Procura di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro nel processo in corso a Brescia, sta facendo emergere nuovi retroscena che - si legge su La Verità - rischiano di complicare la posizione dei due imputati accusati di aver nascosto al Tribunale in primis e poi all'Eni, alla Shell e agli altri imputati prove a discarico, come i messaggi del principale accusatore Vincenzo Armanna. Ma ora spuntano anche le chat con messaggi compromettenti di un altro faccendiere, si tratta di Isaac Eke, un nigeriano coinvolto nella trattativa, che in seguito ad una soffiata venne intercettato e perquisito il 19 novembre 2019, e gli vennero sequestrati anche ben quattro cellulari.

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Dalle nuove carte risultano messaggi scottanti presenti su quei dispositivi, come il testo spedito il 19 novembre - prosegue La Verità - che era stato ricevuto da Eke nove giorni prima tramite WhatsApp da un interlocutore memorizzato come "Csp Odia", unitamente agli indirizzi mail dei destinatari, ossia quelli dei difensori di Armanna e dei pubblici ministeri oggi imputati. Ma nonostante i pm sapessero di queste chat "la grande stranezza - sottolinea l'accusa - è che non sia stata effettuata nessuna attività di indagine". Nelle chat si parla chiaramente di tutti i traffici: dai 50mila euro che avrebbe dovuto ricevere, che in realtà erano solo 19mila, alle foto di Armanna per poter essere riconosciuto in Aula. Insomma si tratterebbero di chat di testimoni pagati per fare false dichiarazioni e chat nascoste che svelerebbero il tentativo di truffa. L'accusa vuole capire perché i pm imputati scelsero di ignorarle.

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