Psichiatra aggredita, Sip: "Allarme violenza, ma discernere malati-criminali"
Dopo il caso di Pisa, su Affari interviene la presidente della Società italiana di psichiatria Liliana Dell'Osso per fare il punto sull'emergenza
Morta la psichiatra aggredita a Pisa. Liliana Dell'Osso (presidente SIP) ad Affari: "Troppi casi, pronti a un tavolo tecnico col ministro"
“La sicurezza di medici e operatori dei dipartimenti di psichiatria è in pericolo”: è un vero e proprio appello, quello lanciato dalla Società Italiana di Psichiatria dopo l’ultimo episodio di violenza avvenuto venerdì scorso a Pisa, dove la dottoressa Barbara Capovani è stata aggredita all’uscita del reparto dell’Ospedale Santa Chiara da un ex paziente, ora in stato di fermo. Aggressione che si è conclusa con il più drammatico degli esiti, la morte del medico.
La psichiatria, secondo i dati Anaao-Assomed è la branca della medicina più colpita da episodi di violenza (il 34%), seguita dai pronto soccorso (20%). Molti di essi, peraltro, non vengono segnalati perchè considerati “minori”, mentre dovrebbero essere identificati come “eventi sentinella”: non episodi isolati, ma più che quotidiani, quasi orari. Il ministro della Salute Orazio Schillaci, in una nota, ha dichiarato che il prossimo mercoledì 26 aprile ci sarà una nuova riunione per la riorganizzazione del tavolo sulla psichiatria, per individuare ogni strada percorribile e soluzioni utili a prevenire ogni genere di violenza e a garantire i massimi livelli di sicurezza per chi si prende cura della salute, fisica e mentale, dei cittadini”.
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Affari ha interpellato Liliana Dell'Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria, nonché direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa per fare il punto sull’emergenza.
I dati sulle aggressioni agli psichiatri e ai medici in generale sono allarmanti. Ci sono stati altri episodi simili recentemente?
In soli due mesi, a Lodi, a Chioggia e ora a Pisa sono avvenute aggressioni violentissime a medici e operatori di psichiatria. Si tratta di un fenomeno, quello della sicurezza degli operatori sanitari, di dimensioni enormi, non si limita a pochi casi. Quotidianamente, come Società Italiana di Psichiatria, riceviamo segnalazioni di fatti magari non della gravità estrema di quello che ha interessato la collega, ma non per questo di minore importanza. Il fenomeno è sottostimato, perché molti episodi non vengono nemmeno segnalati, in primis per paura di ritorsioni e di nuove aggressioni.
C’è una prevalenza, poi, va sottolineato, nel genere femminile, perché una donna appare più fragile e facilmente aggredibile da un soggetto, per definizione, psicopatico. Quindi possiamo inserire anche simili comportamenti all’interno della violenza di genere. Questo è il motivo per cui consiglio da anni alle mie allieve specializzande dei corsi di difesa personale. Una volta fatta la specializzazione si troveranno a lavorare nella psichiatria territoriale, effuttuando visite domiciliari o urgenze, in condizioni di scarsa tutela.
Quali strumenti di tutela, nel concreto, avete a disposizione per “gestire” episodi simili?
In relazione al mandato della psichiatria, noi possiamo eventualmente gestire con la farmacoterapia i comportamenti aggressivi, qualora questi siano correlati a patologie mentali, ma non siamo in grado di difenderci dalla violenza al di fuori di tale ambito, che sconfina nella criminologia. Occorre infatti distinguere la violenza del paziente con un disturbo mentale, che viene efficacemente trattata farmacologicamente; questo tipo di violenza non è quello che ci fa paura, perché è “nel nostro mandato”, è l’obiettivo del nostro operare clinico. Il problema è quando entra in gioco la violenza da parte di persone che non sono affette da disturbi mentali ma da una grave psicopatia antisociale, narcisistica… E qui si entra nel campo del comportamento penalmente rilevante. Si tratta di soggetti il cui percorso, alla fine dell’iter giudiziario, è il carcere.
I ministri Schillaci e Piantedosi hanno ricordato la presenza di posti di polizia negli ospedali, l’inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce personale sanitario. Sono misure sufficienti?
C’è una legge di pochi anni fa (L. 14/08/2020 n. 113) secondo cui ‘al fine di prevenire episodi di aggressione e di violenza, le strutture presso cui opera il personale prevedono nei propri piani per la sicurezza misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia per garantire il loro tempestivo intervento’. Protocolli, nella nostra esperienza, difficili da sottoscrivere e da attuare. Anche perché episodi di violenza potrebbero avvenire anche in studi privati, come è avvenuto per il dottor Piero Orsini qualche mese fa.
Inoltre dobbiamo denunciare una grave carenza di strutture idonee ad ospitare non solo i pazienti con malattia mentale, ma appunto affetti da psicopatia o altro disturbo della personalità, che mettono in atto comportamenti criminali. Questi soggetti spesso, invocando la seminfermità di mente, si sottraggono al circuito penale e finiscono per diventare “pazienti psichiatrici”, rendendo le Rems sempre più sovraffollate, e costringendo l’attività giudiziaria a inoltrare i casi alle nostre strutture. Ma i dipartimenti di salute mentale non sono affatto attrezzati per gestire pazienti di questo tipo.
E’ noto che negli ultimi anni i tagli alla sanità siano stati consistenti. Questo lo avete riscontrato anche per quanto riguarda la psichiatria?
Servono investimenti nella sanità in termini di capitale umano, e strutture adeguate. I tagli delle risorse e di personale degli ultimi due decenni, come il Covid ha messo in evidenza, hanno ridotto all’estremo i servizi sanitari pubblici che fanno sempre più fatica a rispondere e intercettare precocemente i bisogni dei pazienti, trovandosi a gestire poi situazioni emergenziali molto gravi.
La prevenzione deve avvenire a vari livelli, a iniziare ovviamente da quello clinico, assistenziale, ma anche organizzativo e legislativo, riformando un sistema sanitario ridotto al minimo. Del resto il problema della sicurezza sui luoghi di lavoro non riguarda solo l'incolumità degli operatori; impatta anche sul loro modo di lavorare e riguarda in generale anche il mandato della psichiatria. Perché se gli operatori sanno di poter essere tutelati in caso di necessità, riescono a lavorare meglio… .
Quali misure in concreto voi, come SIP, avete pensato di adottare per “denunciare” l’ennesimo episodio di violenza avvenuto?
Chiediamo di partecipare a un tavolo come SIP, con il ministro, proprio perché i livelli di intervento sono molti. E un potenziamento del personale, un aumento di Rems, di strutture idonee che mancano, andando a sanare una situazione che via via si è andata riducendo nelle sue potenzialità, per poter offrire un maggior servizio e in maggiore sicurezza. Auspichiamo quindi un intervento concreto a livello parlamentare e delle Regioni.
Che risvolti possono esserci, nell’opinione pubblica, in termini di pregiudizi delle patologie della salute mentale?
Al primo posto rimane il paziente, che leggendo i giornali potrebbe sentirsi criminalizzato. Occorre ribadire che c’è una netta differenza tra il soggetto affetto da disturbo mentale, che curato adeguatamente può avere una remissione completa della sua patologia, e il soggetto affetto da disturbo della personalità, e da psicopatia, dove c’è anche un rifiuto della terapia. Qui siamo nell’ambito della psichiatria forense, della criminologia. Un episodio di aggressione lucido, ben programmato come questo un paziente psichiatrico non lo fa, neppure nelle fasi acute della sua patologia, in cui peraltro è spesso vittima di violenza più che autore della stessa.