Sanità, riciclaggio-controllo territorio: un business strategico per la mafia

Perché per la mafia la sanità è ancora un business strategico. L'anteprima di affaritaliani.it

di Sergio Sergi*
Medicina
Cronache
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Riclaggio, controllo del territorio e posti di lavoro: la sanità è ancora il business strategico della mafia 

La criminalità organizzata ha un duplice interesse nella gestione dei servizi legati alla sanità. In primo luogo, c’è un interesse che deriva dall’enorme mole di denaro che ruota attorno a questi servizi e che può garantire, in quanto tale, lauti profitti alle cosche. Ma c’è anche, e soprattutto, un interesse dato dal fatto che l’investimento in sanità è un modo abbastanza agevole per riciclare i proventi di attività illecite (principalmente i ricavi del traffico di stupefacenti). Non va, infine, trascurato un importante aspetto sociale: la gestione di presìdi e servizi sanitari garantisce infatti alle mafie un più saldo controllo del territorio e può contribuire ad accrescere il loro prestigio e il consenso che riscuotono in parte della popolazione.

Le organizzazioni mafiose moderne si affidano a stuoli di avvocati e di consulenti finanziari e hanno maturato la capacità di sfruttare gli elementi di debolezza del sistema, primo tra tutti la poca trasparenza delle procedure di accreditamento delle strutture sanitarie private (cliniche, ambulatori, case di cura). Nella fattispecie, iter burocratici poco o male regolamentati non sono in grado, molto spesso, di prevenire i fenomeni di infiltrazione mafiosa, e questo fino al punto, talvolta, di generare vere e proprie zone d’ombra in cui appare eccessiva la discrezionalità politica nella scelta degli enti privati da accreditare.

Un discorso analogo concerne il tema delle esternalizzazioni. Le cosche hanno spesso il pieno controllo di attività come lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, la lavanderia, l’erogazione dei pasti, le pulizie e la vigilanza, ossia tutti quei servizi funzionali e indispensabili all’erogazione dei servizi sanitari ma che, non costituendo prestazione sanitaria, vengono appaltati tramite procedure meno rigorose e con più scarsa vigilanza. A titolo esemplificativo si può considerare la vicenda, risalente al 2015, dell’assegnazione dei servizi di gestione della “camera mortuaria” dell'Azienda Ospedaliera Sant'Andrea di Roma, che ha visto coinvolto anche Egisto Bianconi, Direttore Generale dell’AO.

Come riportato alla pubblicazione di settore, Quotidiano Sanità, “attraverso alcuni complici (tra cui la moglie), il boss Guerino Primavera aveva fatto da intermediario e garante per un titolare di una ditta di pompe funebri, avvicinando il direttore generale dell’azienda ospedaliera (con cui il titolare della ditta aveva stretto accordi corruttivi) nonché il responsabile unico del procedimento e presidente della commissione di gara. In cambio dell’aggiudicazione, il titolare della ditta aveva promesso a Guerino Primavera l’assunzione della moglie, versando un corrispettivo mensile, a fronte di una fittizia prestazione di lavoro”1.

Non si deve tuttavia credere che la sanità pubblica sia al riparo dal rischio mafioso. Anche qui, infatti, le mafie hanno dimostrato una consistente capacità di penetrazione. Un caso emblematico, per rimanere in area lombarda, è ad esempio quello dell’ex direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, condannato definitivamente a 12 anni di carcere per aver favorito la ‘ndrangheta truccando “la gara d'appalto per l'affidamento di servizi infermieristici, presso la casa di reclusione di Opera, da parte dell'ospedale San Paolo, indetta nel giugno del 2009”. L'operazione venne fermata, a suo tempo, grazie all’avvio dell'inchiesta 'Infinito', che “il 13 luglio 2010 portò a oltre 300 arresti tra Milano e Reggio Calabria”.

Si tratta di un fenomeno particolarmente diffuso nelle regioni meridionali, dove maggiore è il controllo mafioso del territorio e più pesanti sono i condizionamenti criminali sui decisori politici. In tale contesto, le cariche apicali delle aziende sanitarie vengono spesso scelte non per concorso, ma attribuite a titolo di incarico fiduciario. Ne derivano margini di manovra enormemente ampi per i poteri mafiosi, che hanno buon gioco nel collocare propri affiliati nelle direzioni delle Asl, garantendosi in questo modo il controllo diretto di appalti e risorse. In termini più generali, le mafie tentano di infiltrare la sanità puntando “all’individuazione di “referenti tra il personale dirigenziale e amministrativo, in particolare negli uffici preposti alla gestione delle spese, che possano indirizzare l’attività dell’amministrazione a favore delle cosche locali”.2.

Casi così eclatanti pongono alle autorità pubbliche il problema di adottare misure efficaci per contrastare la penetrazione mafiosa della sanità. Sebbene non sempre la risposta sia risultata adeguata, vale tuttavia la pena menzionare la legge 60 del 2019, una norma pensata per far fronte alla specifica emergenza del sistema sanitario calabrese, che dispone “la verifica dei direttori generali e dei direttori amministrativi e sanitari al fine della loro eventuale sostituzione con un commissario ad acta”; il ricorso a Consip e alle centrali di committenza di altre regioni “per l’affidamento di lavori e la fornitura di beni e servizi” in caso di importi superiori alla soglia comunitaria; il rafforzamento “dell’Autorità anticorruzione per gli appalti sotto soglia” e di Invitalia “per quanto concerne le attività di progettazione per l’edilizia sanitaria”3.

Un ulteriore aspetto è quello delle infiltrazioni mafiose nell’ambito del commercio farmaceutico, un fenomeno che negli ultimi anni è apparso sempre più significativo. Il caso delle farmacie è particolarmente significativo perché rivela come le mafie abbiano negli anni modificato il loro atteggiamento nei confronti di imprenditori e imprese. Mentre, infatti, in passato la criminalità organizzata si interfacciava con le realtà imprenditoriali a soli fini di estorsione, oggi è abbastanza tipico il caso di mafiosi che partecipano direttamente al capitale societario dell’impresa e utilizzano imprenditori incensurati come copertura per i propri interessi illeciti.

Pare, quindi, evidente che uno dei fronti principali su cui si concentra la lotta ai fenomeni di infiltrazione mafiosa in sanità è quello del contrasto al riciclaggio di denaro. In questo ambito è da sottolineare che l’Italia è storicamente un paese all’avanguardia, adottando normative che hanno anticipato la formulazione di standard e l’emanazione di linee guida da parte dell’Unione Europea e di altri organismi internazionali.

Vale la pena segnalare, inoltre, il recente aggiornamento del Protocollo d’Intesa stipulato nel 2018 tra la UIF (Unità d’Informazione Finanziaria) e la DIA (Direzione Investigativa Antimafia), che punta sulla rapidità e flessibilità dei controlli sui volumi dei flussi informativi e si propone, perciò, di dimezzare i tempi delle comunicazioni tra i due enti e di accrescere la quantità dei dati scambiati, includendovi anche comunicazioni pervenute alla UIF di Bankitalia da Unità d’Informazione Finanziaria estere.

In questo scenario articolato e complesso, l’adozione di corretti protocolli di gestione del rischio e di valutazione del profilo reputazionale di parti terze può rivelarsi un’arma decisiva, nel contrasto alle mafie ed alle loro infiltrazioni nelle strutture sanitarie. Nel caso di appalti o di affidamenti diretti, l’analisi delle controparti costituisce uno dei capisaldi per prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose nelle transazioni economiche o finanziarie che abbiano una apprezzabile consistenza economica. Questa consolidata tipologia di analisi consentirebbe, infatti, di identificare con precisione la controparte, riconoscendo l’eventuale esecutore. Inoltre, si possono così individuare per tempo i beneficiari effettivi di un’operazione, cioè molto prima dell’avvio di possibili rapporti commerciali, professionali o transazioni finanziarie che, dall’opacità della controparte, potrebbero essere gravemente inficiate.

Attraverso un approccio olistico all’analisi del rischio si possono mettere in campo tutti gli strumenti necessari per la compliance alla normativa antiriciclaggio e per la conoscenza del profilo reputazionale delle controparti. Oggi è possibile attuare delle innovative procedure di valutazione del rating delle controparti in relazione ai tre fattori essenziali: il rischio reputazionale, il rischio economico-finanziario e quello legale connesso, quest’ultimo, con la tipologia intrinseca dell’operazione che si sta per intraprendere. Contenuto a cura di CRW, Corporate Risk Watch, società di risk consulting che identifica i rischi che possono caratterizzare le relazioni di un’impresa con le proprie controparti e ne dà una valutazione sulla base del loro potenziale impatto reputazionale.

*Director CRW-Corporate Risk Watch

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