Strage via D'Amelio, ferita ancora aperta: ricordare è un dovere collettivo
Il 19 luglio ricorre il 31° Anniversario dell’Eccidio di via D’Amelio, uno dei peggiori attentati di stampo terroristico-mafioso: ricordare è dovere
Strage di via D’Amelio e l'importanza della memoria: il commento
Ci sono certe ferite che non si rimarginano mai e che nonostante il tempo mostrano ancora tracce nel tessuto sociale e sul corpo della giustizia italiana, la Strage di via D’Amelio è una di queste.
Il 19 luglio ricorre il 31° Anniversario dell’Eccidio di via D’Amelio, uno dei peggiori attentati di stampo terroristico-mafioso avvenuto in Italia, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino, membro del pool antimafia, e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
La responsabilità collettiva della Memoria storica è anche e soprattutto ripercorrere pagine fosche del nostro passato per serbare vivo il ricordo di grandi uomini che si sono sacrificati per il bene del Paese e conservare e tramandare di questi ultimi i nobilissimi valori etico-civili. Ripercorriamo, quindi, brevemente quei momenti terribili che hanno segnato la storia recente dell’Italia.
Ad uccidere il magistrato fu un’autobomba che esplose alle 16:58 al numero civico 21 di via D’Amelio a Palermo. Era una domenica d’estate, uguale a tante altre domeniche di luglio. Il giudice era stato al mare con la sua famiglia, e al ritorno dalla sua casa estiva a Villagrazia di Carini era andato a trovare sua madre, come faceva spesso la domenica.
Sceso dall’auto si accese una sigaretta e poi suonò il citofono. In quel momento 90 kg di tritolo, nascosti in una Fiat 126 rossa, causarono la morte del giudice e di cinque poliziotti; si salvò solo l’agente Antonio Vullo che si era allontanato per parcheggiare una delle auto della scorta.
L’attentato che avvenne 57 giorni dopo la Strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, spinse l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli a firmare d’urgenza l’applicazione del regime del carcere duro (art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario) nei confronti di circa 300 detenuti per reato di mafia, ‘ndrangheta e camorra, di cui dispose anche il trasferimento nei penitenziari dell’Asinara e di Pianosa.
Il 21 luglio si svolsero nella cattedrale di Palermo i funerali dei cinque agenti. I familiari di Borsellino, invece, rifiutarono i funerali di Stato in aperta polemica con il mondo politico, colpevole secondo i parenti di non averlo difeso; il 24 luglio, in forma privata, alla presenza di 10.000 persone, furono celebrati i funerali del giudice nella chiesa di Santa Luisa di Marillac, dove Borsellino era solito recarsi nelle domeniche di festa.
Per la strage di via D’Amelio l’iter giudiziario è stato lunghissimo. Confessioni, falsi pentiti, condanne poi ribaltate, il mistero dell’agenda rossa mai trovata nell’auto esplosa, l’agenda in cui il giudice registrava gli appuntamenti di lavoro, gli spostamenti privati, ma soprattutto i colloqui che teneva con i collaboratori di giustizia e i rappresentanti delle istituzioni.
È finito tutto” affermò sconfortato Antonino Caponnetto, il magistrato che creò e guidò il Pool antimafia, uscendo dall’obitorio dopo l’ultimo saluto a Paolo, ma non poteva finire così, perché la speranza e il coraggio che Giovanni e Paolo avevano consegnato in quegli anni ai cittadini desiderosi di giustizia e legalità iniziavano a produrre il vento del cambiamento culturale nella lotta alla mafia. E iniziò quella primavera delle coscienze di cui Caponnetto diventò il primo rappresentante della società civile, e scelse le scuole per portare avanti le idee dei magistrati uccisi dalla mafia.
L’importanza di sviluppare tra i giovani il senso della legalità e il valore dell’impegno per la giustizia è espresso perfettamente nel profetico discorso che tenne Borsellino il 25 giugno 1992 nella Biblioteca di Palermo in ricordo dell’amico Giovanni, discorso che tante volte Antonino Caponnetto ha ricordato agli studenti nelle varie scuole d’Italia:
“Il primo problema da risolvere nella nostra bellissima e disgraziata terra è la necessità di un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità.”
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani impegnato da anni, con progetti didattici e iniziative scolastiche di respiro nazionale, nella protezione e valorizzazione dei valori di giustizia e legalità, intende continuare a tutelare il patrimonio etico-civile che gli uomini giusti come Falcone e Borsellino ci hanno lasciato. Per tale ragione continueremo a portare in classe le parole di fuoco di Antonino Caponnetto che dopo le stragi del ‘92 ha creduto fortemente nel cambiamento culturale delle nuove generazioni.
E continueremo a consegnare ai nostri studenti le Lectio magistralis di Paolo Borsellino, sostenitore convinto della gioventù che lotta per una società migliore e più giusta per tutti.
Per il XXXI Anniversario della Strage di via D’Amelio, abbiamo pensato di realizzare una bacheca simbolica intitolata “Caro Paolo…” per portare avanti il dialogo tra Borsellino e i giovani. Studenti, docenti e lettori possono rivolgersi idealmente al giudice per esprimere un pensiero personale, una speranza sul presente e/o sul futuro, una perplessità e qualsiasi cosa abbia a che fare con i valori di cittadinanza. Con le lettere “Caro Paolo…” realizzeremo una bacheca che pubblicheremo sul nostro sito e sui nostri social.
“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente mafia svanirà come un incubo”
*Articolo a cura di Rosa Manco, professoressa del Coordinamento NazionaleDocenti della Disciplina Diritti Umani
Rosa Manco, professoressa del Coordinamento NazionaleDocenti della Disciplina Diritti Umani