Taxi, poche licenze e code infinite: la casta intoccabile diventata un nuovo "organo costituzionale"

Attaccano chi vuole mettere più licenze e non accettano confronti o dialogo: un settore che non va

di Antonio Mastrapasqua
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Taxi in coda

Cronache

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Oltre ai magistrati (con l’autogoverno) e i parlamentari (con l’autodichiarazione) ora bisognerà ammettere che i taxisti possono assurgere a “organo costituzionale” dal momento che non rispondono ad alcun soggetto esterno alla loro corporazione.

I cittadini? Un taxista mi disse di recente: “Che cosa si lamentano a fare, fanno la fila anche in Posta; perché non dovrebbero farla per aspettare un taxi?”. I turisti? Un altro taxista aggiunse: “Che vadano a Parigi, o a Barcellona”. E infatti ci vanno, con disdoro della nostra vocazione turistica Francia e Spagna ci hanno superato da tempo per presenze. Colpa dei taxisti? Non solo, ma quando i servizi di trasporto sono inadeguati è come suggerire di andare altrove. Il Comune? Basta fare (o minacciare) uno sciopero e bloccare una città intera con le auto del servizio pubblico. Il Parlamento? Il decreto “asset”? Acqua fresca.

Nei giorni scorsi ci ha provato L’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art), che per titolo istituzionale è chiamata – nel settore del trasporto con taxi – a monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio, delle tariffe e della qualità delle relative prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti.

Ebbene l’Autorità – che per definizione è super partes, una istituzione che nulla ha di politico – per bocca del suo presidente Nicola Zaccheo, ha detto che a Roma “non bastano 1.000 taxi in più, ne servono almeno 2.000 in aggiunta”. Il numero attuale di auto bianche in circolazione non è sufficiente, secondo Zaccheo, a soddisfare la domanda. Facile dargli ragione. Basta frequentare Roma (da cittadino o da turista) e si capisce che le code ai parcheggi, così come le attese al telefono per qualunque cooperativa di radiotaxi, oppure i tentativi falliti di “acchiappo” al volo dimostrano solo una cosa: a Roma non ci sono abbastanza taxi. Punto.
Il presidente dell’Art ha anche evidenziato come siano stati rilasciati 42 pareri in procedura ordinaria, tra cui un parere specifico al Comune di Roma Capitale sull’incremento del contingente taxi. Zaccheo ha anche sottolineato che se tutte le città seguissero le indicazioni del’Art ci sarebbero molti meno problemi in alcuni settori.

Apriti cielo! Le affermazioni di Zaccheo non sono state accolte positivamente (è un eufemismo) dai principali sindacati dei tassisti, tra cui Fit CISL Lazio, Ugl Taxi e Federtaxi Cisal. Per costoro il rilievo di Zaccheo è “uno scandalo”. Ma come? Nemmeno l’Authority del settore trasporto ha titolo per tracciare una strada e certificare un problema? 

Se fossimo stati ai tempi di Gesù questo Zaccheo avrebbe dovuto restare abbarbicato sul sicomoro: scendendo avrebbe rischiato il linciaggio, che solo parlando di taxi sembra essersi meritato.
Se la collettività dei taxisti si candida a “organo costituzionale” – affermando di fatto una propria autodichia, che non può essere scalfita nemmeno dall’Authority di settore – gli amministratori pubblici, da cui dipende poi nella pratica il rilascio delle licenze e la gestione del servizio pubblico locale nel suo complesso potrebbero rischiare altro. E forse molto di più.

Mi spiego. Che la mobilità sia uno dei diritti fondamentali della persona nella comunità civile in cui è inserita, è fuor di dubbio. La mobilità è condizione di partecipazione alla vita sociale. La mobilità è premessa per ogni forma di inclusione attiva. E allora, come la mettiamo quando non è possibile programmare un banale spostamento nella Capitale, poiché i mezzi pubblici – si sa – sono del tutto inadeguati; e i taxi introvabili? Solo che ci fosse un giudice a Berlino!

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