Uccise 4 donne, compresa l'amica di Meloni. Campiti può evitare il carcere

Strage di Fidene, lo Stato in corto circuito. Giudici e Avvocatura litigano su cosa fare. C'è la responsabilità del ministero per omesso controllo

Di Redazione Cronache
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Strage Fidene, il killer rischia di essere graziato. Lo scontro tra il gup e l'avvocatura dello Stato

Scoppia il caos tra giudici e Avvocatura dello Stato per la vicenda che riguarda Claudio Campiti, il 58enne responsabile della cosiddetta "strage di Fidene", costata la vita a quattro persone, tra cui anche un'amica della premier Meloni. Ma sul caso giudiziario c'è un cortocircuito, il gup ha chiesto il rinvio a giudizio per il killer, ma l'Avvocatura (che difende i ministeri) si è opposta e ha chiesto il "non luogo a procedere". Il tutto perché - si legge su La Stampa - nella questione giudiziaria è coinvolto anche il ministero della Difesa, accusato di omessa vigilanza. I fatti risalgono a quasi un anno fa: Campiti aveva fatto irruzione armato di tutto punto nel corso della riunione di condominio dell'odiato "Consorzio Valleverde", sulle colline reatine, e dopo aver gridato "vi ammazzo tutti" ai componenti del consiglio di amministrazione aveva ucciso davvero.

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Quattro donne decedute sul colpo - Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis e Nicoletta Golisano, 50 anni, revisore dei conti e cara mica della premier Meloni - altre tre persone ferite: era l’11 dicembre 2022. Nella decisione di eri il gup ha, sostanzialmente, recepito l'impianto accusatorio del pm che - prosegue La Stampa - contesta all'indagato l’omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, il tentativo di omicidio di altre cinque e lesioni personali per i traumi psicologici causati ad altri sopravvissuti. A Campiti viene contestato anche l'appropriazione e porto abusivo di armi. L’arma usata per sfogare il rancore nei confronti dei rappresentanti del consorzio con cui era in guerra da tempo – una pistola semiautomatica Glock 45 con decine di proiettili - Campiti l’aveva sottratta poco prima al poligono statale di tiro di Tor di Quinto, a Roma, dove si allenava abitualmente e dove i controlli sarebbero stati carenti sia in entrata che in uscita. Quest'ultimo punto tira in ballo le responsabilità dello Stato, da qui la richiesta dell'Avvocatura per il "non luogo a procedere".