Violenza domestica, è un'emergenza: servono formazione e sezioni specializzate
Occorrono strumenti nuovi per gestire velocemente ed efficacemente le denunce per i reati di violenza domestica e di genere
Violenza familiare: perchè il progetto di legge è fermo in Parlamento?
Quali strumenti possiede una vittima di reato per tutelarsi? Nella maggior parte dei casi, la querela. Che viene recepita e verbalizzata dalle forze dell’ordine, e trasmessa in Procura, per poi essere assegnata al pubblico ministero di turno. Da quel momento, chi ha denunciato tende, giustamente, a sentirsi più sicuro. Perché si affida alla giustizia, sa che qualcuno si occuperà del suo problema, e lo risolverà.
Ma se per motivi di carenza di personale, di turni di reperibilità, di formazione degli addetti ai lavori, quella querela non viene approfondita a dovere e ne viene chiesta l’archiviazione, cosa può fare la vittima convinta di aver subito i reati che ha denunciato?
Opposizione, tramite l’assistenza di un avvocato, sperando che gli elementi a sostegno della sua denuncia siano tali da far riconsiderare, al giudice, la posizione del pubblico ministero per il quale la querela andrebbe chiusa.
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Nel frattempo, se il reato denunciato rappresenta, come a volte accade, l’anticamera di illeciti ben più gravi e irreparabili come l’omicidio, chi ha denunciato potrebbe trovarsi in pericolo.
Ed è per questo che la legge 69/2019 ha introdotto il “codice rosso”, una forma di tutela preventiva per chi denuncia atti persecutori, violenza sessuale o maltrattamenti in famiglia. Esso dà alla presunta vittima il diritto di essere riascoltata nelle 72 ore successive alla presa in carico della denuncia da parte del pubblico ministero, allo scopo di verificare la necessità di adottare provvedimenti limitativi della libertà personale nei confronti della persona denunciata. E così, frequenti sono le misure di allontanamento dalla casa familiare, di divieto di avvicinamento, o, nei casi più gravi, di arresti domiciliari con l’ausilio del braccialetto elettronico fino ad arrivare alla custodia cautelare in carcere.
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Non così è stato per Gabriela, uccisa a colpi di fucile e per il cui omicidio è stato arrestato il marito Renato Montefusco. Sposata da anni con un uomo da cui voleva separarsi e che aveva denunciato più volte per maltrattamenti e stalking, era stata costretta a opporsi alle richieste di archiviazione avanzate dal pubblico ministero, con udienza fissata proprio il giorno in cui, come risulta dalle indagini, il marito avrebbe imbracciato un fucile uccidendo lei e la figlia Renata, avuta da una precedente relazione.
L’onorevole Laura Ravetto, responsabile del dipartimento Pari Opportunità della Lega, ha così espresso il suo parere al riguardo: “Esiste un problema di organico, così come esiste un problema di formazione da parte del personale. Una denuncia per atti persecutori o maltrattamenti in famiglia ha caratteristiche specifiche, comporta segnali da parte della vittima che bisogna saper cogliere, e per farlo non servono solo empatia e sensibilità, qualità di cui le nostre forze dell’ordine e i nostri magistrati sono certamente dotati, ma anche preparazione e formazione professionale adeguate e continui aggiornamenti.”
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A margine di queste affermazioni, una proposta, o provocazione, viene spontanea: esistono le sezioni specializzate dei tribunali per le controversie agrarie, possibile che non si riescano a creare sezioni per gestire velocemente ed efficacemente le denunce per i reati di violenza domestica e di genere? E il disegno di legge a firma Cartabia e Lamorgese che contiene disposizioni di contrasto alla violenza domestica, per il quale si sono tenute le audizioni in Commissione Giustizia al Senato oltre un mese fa? Che si aspetta a portarlo in Parlamento e votarlo?
Ogni giorno che passa sono vittime in più. E tempo da perdere, non ce n’è.
*Avvocato e Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime