Viaggio nel Made in Italy: dietro le quinte de La Pasta di Camerino

L’intervista di Affaritaliani.it al CEO Federico Maccari: dalla tradizione di famiglia alle sfide del futuro

di Chiara Giacobelli
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Culture

Il Made in Italy passa in primo luogo dalla pasta, un vero e proprio brand del nostro Paese. Ma non basta dire pasta per intendere qualità. Siamo stati a visitare La Pasta di Camerino, nel maceratese, e abbiamo colto l’opportunità per intervistare il CEO Federico Maccari.  

Sarà capitato a tutti di trovare negli scaffali del supermercato La Pasta di Camerino, nel reparto fuori frigo oppure tra i prodotti freschi. Un brand che fino a qualche anno fa non era così celebre, ma che, grazie anche all’intuito del CEO Federico Maccari, è fortemente cresciuto in fatturato, distribuzione e visibilità, senza però mai perdere in qualità. Spesso, infatti, non sono le grandi dimensioni di un’azienda a darne garanzia di eccellenza; al contrario, le realtà medio-piccole come La Pasta di Camerino si dedicano con estrema attenzione al prodotto, partendo dalle materie prime sino al confezionamento.


 

In questo caso si tratta di un pastificio nato da un’idea di Gaetano Maccari e di sua moglie Mara, i quali aprirono un piccolo laboratorio seguendo la tradizione di famiglia, quando nella loro casa di campagna la madre di Gaetano era solita fare la pasta a mano. Da qui a sognare un po’ più in grande il passo fu breve, così a partire dai primi anni 2000 i coniugi iniziarono a lavorare e vendere pasta fresca, per poi estendersi nel 2008 ad uno stabilimento assai più ampio: non potevano immaginare, all’epoca, che grazie ai criteri antisismici la struttura avrebbe resistito al devastante terremoto dell’anno successivo, salvando la vita di numerose famiglie (48 dipendenti, di cui ben 35 con la casa lesionata). Dopo questo evento, che li vide protagonisti nella resilienza e nella rinascita dell’area, la famiglia Maccari decise di raddoppiare lo stabilimento produttivo: oggi è divenuto l’azienda privata più grande del territorio camerte, nonché un punto di riferimento per l’intera comunità.

Attualmente La Pasta di Camerino – che ha scelto come slogan “sapori della tradizione da ricordare” – conta 12.500 metri quadrati e 90 dipendenti assunti a tempo indeterminato, di cui il 60% donne. Il pastificio si è evoluto anche grazie all’ingresso in azienda dei figli: Federico amministratore delegato e Lorenzo responsabile di produzione. Affaritaliani.it ha intervistato il CEO Federico Maccari a proposito di made in Italy, storie di famiglia, alimentazione e sfide del futuro.

Federico in che modo secondo lei il pastificio è cambiato e si è trasformato sotto la sua direzione? Quale pensa essere il miglioramento principale da lei apportato?

“Ci sono state numerose evoluzioni, decisioni importanti che nel momento in cui sono state prese potevano sembrare scelte coraggiose, ma forse anche un po’ impopolari. Al centro del nostro modo di pensare c’è sempre stata la qualità del prodotto: quando sono arrivato io, facevamo difficoltà a far comprendere il nostro valore non tanto ai consumatori finali, quanto piuttosto agli intermediari, ai grossisti, ai supermercati e quindi alla filiera della distribuzione. Ho pertanto voluto avviare un percorso di valorizzazione in tal senso, investendo nelle certificazioni da spendere in etichetta, come il fatto che la nostra pasta sia al 100% italiana e tracciabile, o che segua antiche ricette della tradizione. Ci sono stati inoltre cambiamenti a livello amministrativo e inerenti il flusso operativo, con alcune novità che in una prima fase hanno creato qualche fastidio e dissapore, ma nel lungo periodo hanno permesso al prodotto di emergere a livello internazionale”.

Parla molto di tradizione. Lei ha sempre saputo che avrebbe seguito le orme paterne o è stata una decisione presa da adulto?

“Sono letteralmente cresciuto in mezzo a questo mestiere: ricordo le estati trascorse vicino a mio padre nei locali di produzione, che per me erano la normalità. Durante gli studi universitari fuori sede ho fatto nuove scoperte, mi sono appassionato di cultura e di altre attività, mi sono incuriosito nei confronti di possibilità diverse, come credo capiti a qualunque giovane. Tuttavia, arrivati al dunque ho scelto il richiamo della mia terra e il senso di responsabilità nei confronti del duro lavoro dei miei genitori, decidendo di intraprendere questa strada con il massimo del mio impegno”.

Rispetto ad altri pastifici di simile livello, fatturato e distribuzione, che cosa contraddistingue La Pasta di Camerino?

“Direi tre punti. In primo luogo la passione imprenditoriale che mettiamo nel nostro mestiere: nello stabilimento di Camerino lavora con dedizione ed entusiasmo una vera e propria famiglia; è palpabile lo spirito di una squadra collettiva in forza e in crescita, che vede peraltro un costante aumento del numero di dipendenti. Il secondo punto è proprio il rispetto della tradizione, nonostante la crescita produttiva e l’aumento delle linee, che non sono comunque mai a livello industriale, ma definirei sempre artigianali. La dimensione non troppo estesa della nostra attività denota la qualità del prodotto finito, e questo vale per qualunque azienda, specialmente nel nostro settore. Infine c’è l’importanza della filiera locale: cerchiamo di valorizzare i prodotti del territorio, collaborando con fornitori della zona ogni volta che è possibile. Nella confezione riportiamo sempre la nostra ricetta tradizionale come una volta, ad esempio specificando che il tortellino è fatto solo con semola di grano duro”.


 

Se dovesse consigliare solo tre dei vostri prodotti, quali sceglierebbe?

“Il primo è la tagliatella rustica, perché è ormai il simbolo della nostra azienda: si caratterizza per il taglio irregolare, come se fosse casereccia, e questo rafforza la bontà del prodotto. Non dovrei dirlo, ma ci sono tanti ristoranti in Emilia Romagna che propongono la nostra tagliatella come “fatta in casa”. Il secondo è lo spaghettone di semola, di qualità eccelsa e con un rapporto qualità-prezzo ottimo per il consumatore. Il terzo è il tortellino realizzato con antica ricetta: si tratta di un prodotto unico sul mercato, con semola di grano duro e uovo, mentre per il ripieno utilizziamo solo ingredienti Dop o con una coltivazione secolare nella nostra regione”.


 

Verso quale direzione vi state muovendo? Che progetti avete per il futuro?

“Intendiamo affermarci come leader della pasta di qualità in Italia. Lo siamo già per la pasta secca all’uovo in alcune regioni, ma vorremmo esserlo in tutto il territorio nazionale. In controtendenza con altri pastifici, abbiamo scelto di non riportare il nome della famiglia bensì del territorio, nell’ottica appunto del made in Italy. Non è certo un’impresa facile in un mercato difficile e affollato come il nostro”.

Un’ultima curiosità. Da esperto del settore, che cosa pensa dell’introduzione di farine di insetti nei prodotti derivati come la pasta, appunto? La vede come un’innovazione che potrebbe avere una sua utilità, oppure è contrario?

“Su questo ambito ci sono più considerazioni da fare. Innanzitutto occorre ricordare che, a differenza di quanto si possa pensare, allevare grilli e produrre farina di insetti non ha in realtà un impatto ambientale minore. Bisogna infatti considerare l’intero flusso di produzione, dall’allevamento fino alla lavorazione finale, con un impatto ambientale e un dispendio energetico che si rivelano maggiori rispetto al prodotto derivante da cereali e legumi. A mio parere l’emergere di queste nuove opportunità è il frutto di due situazioni: in primo luogo la tendenza dei consumatori a privilegiare una dieta proteica rispetto a una che vede la presenza di carboidrati, per una questione di calorie e quindi, in definitiva, di estetica. In pochi, però, sanno che il nostro corpo non è progettato per sorreggere così tante proteine; al contrario, è ben più predisposto all’assimilazione di fibre e carboidrati. Un uso eccessivo di proteine crea una miriade di problemi di salute, specialmente se prolungato oltre i sei mesi. È anche per questo motivo che molti nutrizionisti stanno modificando le proprie linee guide reintroducendo i carboidrati, con la presenza di cereali e legumi; d’altra parte oggi si fa sempre più uso di carboidrati a basso indice glicemico, nel nostro caso producendo pasta integrale, di farro o di grano Hammurabi. In secondo luogo c’è il fatto che una parte del pianeta è interessata a farci credere che farine di insetti e carne sintetica siano indispensabili ai fini dell’evoluzione e della sostenibilità, mentre a mio parere i Paesi già consolidati in questi settori non ne trarrebbero alcun vantaggio, a fronte del rischio di perdere la propria identità.

Dunque la domanda è: vale la pena investire in una bistecca di carne sintetica per non inquinare il mondo? La mia risposta è che basterebbe un consumo più responsabile, ad esempio mangiando la carne rossa al massimo una volta alla settimana, mentre in Italia, come anche in Europa o negli Stati Uniti, si stima che il consumo sia 5 o 6 volte superiore. Credo sia necessaria un’eduzione alla corretta alimentazione e una riduzione del numero di allevamenti. Il vero problema nel vizio della dieta quotidiana è dunque quello di ribilanciarci, anche per quanto riguarda il grano, magari recuperando varietà andate perse o individuandone altre sufficienti a sfamare il mondo”.