Auto, idrogeno-biometano: per abbattere le emissioni non c'è solo l'elettrico

Opportuno che l'Europa adotti la cosiddetta “neutralità tecnologica", ovvero il principio secondo il quale non è giusto scommettere su una sola tecnologia

di Marco Foti
Economia

Auto a emissioni zero a partire dal 2035

Nei giorni scorsi il Parlamento Europeo ha approvato definitivamente i nuovi obiettivi per la riduzione delle emissioni di CO2 da autovetture e veicoli commerciali leggeri di nuova produzione, in linea con gli obiettivi della neutralità climatica da raggiungere entro il 2050. Quanto approvato prevede l’obbligo per le nuove autovetture ed i nuovi veicoli commerciali leggeri di non produrre alcuna emissione di CO2 dal 2035, con l'obiettivo finale di ridurre del 100% le emissioni quantificate nel 2021 e con gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 del 55% per le autovetture e del 50% per i furgoni.

Innanzitutto è doveroso evidenziare, per il prossimo futuro, che sarà possibile continuare a possedere un’autovettura che non sia ad emissione di CO2 nulla. Infatti le nuove regole non impongono che entro il 2035 tutte le auto in circolazione siano a emissioni zero ma che le autovetture (ed i veicoli commerciali leggeri) prodotti a partire da quella data non siano alimentate da carburanti. La volontà del legislatore, poiché la vita media di un'auto è di 15 anni, è che dal 2035 sia necessario acquistare veicoli a CO2 neutrali dal punto di vista climatico per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissati al 2050. Fatta questa premessa, passiamo ad affrontare i problemi di diversa natura.

Parco veicoli e consumi di energia elettrica

Una stima di ACI per il 2022 indica il parco auto italiano costituito da poco meno di 40 milioni di veicoli. Considerando un turnover di 2 milioni di veicoli/anno, stima di per sé molto azzardata, dal termico all’elettrico tra vent’anni è possibile ritenere completato l’ammodernamento del parco veicolare italiano. Considerando un consumo medio annuale per autovettura elettrica di circa 2 mila kwh la produzione annuale necessaria per alimentare i 40 milioni di veicoli ammonterebbe a circa 80 miliardi di kWh (Terawattora).

Numeri importanti se si raffrontano ai consumi rilevati da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale, nel 2022 il cui fabbisogno energetico in Italia è stato consuntivato a 316,8 miliardi di kWh. Ovvero, il 25% del fabbisogno nazionale dovrebbe essere dedicato ai consumi delle auto elettriche. È chiaro ed evidente che questo esercizio sia stimato a condizioni espressamente sfavorevoli ma il risultato fornisce una indicazione importante in merito a quanto si potrà andare in contro nei prossimi anni volendo incrementare di un quarto il fabbisogno nazionale di energia elettrica, ad esclusione della distribuzione, un tema affronteremo successivamente.

Oggi vorrei che concentrassimo l’attenzione sulla opportunità di effettuare questo cambio epocale di abitudini sulle condizioni di mobilità. In una intervista del 2021 Terna ha dichiarato “che la strategia di lungo termine pubblicata a fine 2020 dal Governo e trasmessa all’Ue prevede al 2050 una riduzione del parco veicoli circolante, dagli attuali 40 milioni a 24 milioni, grazie soprattutto allo sviluppo del trasporto pubblico locale e dello sharing nella città. Di questi, 19 saranno elettrici e quindi genereranno un fabbisogno aggiuntivo di 38 TWh annui, numeri trascurabili rispetto a consumi elettrici stimati a quella data per 700 TWh” (700 miliardi di kwh), ovvero quasi il raddoppio del fabbisogno attuale.

Se pensiamo ai dati diffusi da Istat, attraverso un’indagine “ad hoc”, sulle abitudini della mobilità degli italiani nel periodo aprile-giugno 2022 appare chiaro come ancora oggi l’utilizzo prevalente del mezzo di trasporto degli italiani sia confermato dall’auto privata con uno shift modale dell’83%. Ciò significa che l’utilizzo dell’autovettura continua ad essere preponderante e stenta a decollare (ovvero tornare ai dati pre Pandemia) l’utilizzo del mezzo pubblico, aspetto certificato recentemente anche da ASSTRA, l’associazione di categoria delle aziende di Trasporto Pubblico Locale.

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Vi è da dire come in Europa la transizione verso la mobilità a zero impatto ambientale procede senza sosta, con alcune Paesi come la Norvegia, in cui le auto elettriche hanno raggiunto una quota vicino all’80% tra veicoli plug-in e full electric. In Italia questa quota si ferma al 4%, mentre arriva al 19% in Finlandia, al 28% in Olanda e al 33% in Svezia (dati European Environmental Agency). Favorire il rinnovamento del parco circolante e con esso la riduzione dell'impatto ambientale dei veicoli è uno degli obiettivi cardine della politica europea. Nel caso italiano quindi si tratta di rinnovare un parco auto importante, al netto della quota citata poc’anzi. Numeri molto significativi se si considerano i contributi distribuiti sino ad oggi. Analogo discorso vale su tutto il territorio europeo.

La Commissione Europea e Cassa Depositi e Prestiti hanno sottoscritto un accordo di garanzia per un valore complessivo di 355 milioni di euro, nell’ambito del programma InvestEU che prevede di mobilitare un totale di 372 miliardi di euro di nuovi investimenti nei prossimi cinque anni nell’intera Unione europea. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in linea con la programmazione del PNRR e gli stanziamenti di 713 milioni di euro, ha pubblicato nei giorni scorsi due decreti che consentiranno l’installazione entro i prossimi tre anni di oltre 21 mila stazioni di ricarica per i veicoli elettrici, nelle superstrade e nei centri urbani italiani.

La transizione ecologica e l’opportunità della “neutralità tecnologica”

Alla transizione energetica segue l'allarme dei poli produttivi. Secondo il Comitato automotive di IndustriAll Europe, l'industria dell’automotive in Europa sviluppa 2,6 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, e nel complesso più di 13 milioni di posti di lavoro. In Italia, secondo il Comitato, sono coinvolti 250 mila lavoratori, di cui 168 mila riguardano la filiera della componentistica. Un primo segnale è dato dal player americano Ford il cui piano industriale prevede nei prossimi tre anni un taglio di quasi 4 mila posti di lavoro in tutta Europa per “reinventare il marchio e concentrarsi su una gamma più ridotta di veicoli elettrici e quindi accelerare il passaggio dal motore a combustione interna ai veicoli elettrici”.

Il rischio a cui si va incontro è elevato, per cui sarebbe opportuno che l'Europa adottasse la cosiddetta “neutralità tecnologica", ovvero il principio secondo il quale non è giusto scommettere su una sola tecnologia (quella elettrica) ma prevedere un approccio flessibile alle diverse tecnologie a disposizione, senza che una prevalga necessariamente sulle altre, consentendo ad esempio altre fonti come biocombustibili, biometano ed idrogeno. Approccio confermato anche dal CEO del gruppo Renault il quale in un'intervista al Sole24Ore richiama “l’Europa ad una politica industriale improntata sulla neutralità tecnologica”.

Uno studio pubblicato da Clepa (l’associazione dei componentisti automotive europei) sottolinea che “l'Italia è il Paese con la minor capacità di ripresa e rischia di perdere al 2040 circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030. Perdite che le nuove professionalità legate allo sviluppo della mobilità elettrica non basteranno a compensare”. Anche l'associazione, con una lettera inviata al Governo, rileva che nonostante l'alto profilo tecnologico e innovativo delle filiere industriali le sfide della transizione energetica sono complesse e non è possibile "considerare tutto risolvibile con il contributo di un’unica tecnologia, non ancora matura a livello di ecosistema di mercato in quasi nessun Paese” del vecchio Continente, caratterizzato da un parco circolante (di auto e veicoli commerciali), al 2030, ancora costituito da oltre il 70% di mezzi con motori a combustione interna. Siamo sicuri che l'indirizzo intrapreso dal Parlamento Europeo sia quello più coerente con le scelte mondiali? Ad maiora.

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