Banco Bpm-Mps, un matrimonio "logico" che però non va in porto: i motivi

Da Piazza Meda continuano a smentire la possibilità delle nozze. Ma la voce continua a girare insistentemente, perché risolverebbe molti problemi

di Marco Scotti
Giuseppe Castagna
Economia

Banco Bpm-Mps: un matrimonio che funziona ma che non si riesce a celebrare

Diceva Winston Churchill che “una bugia fa in tempo a compiere mezzo giro del mondo prima che la verità riesca a mettersi i pantaloni”. Ma quando si parla di banche e di risiko i concetti di vero e falso assumono contorni decisamente più sfumati. Che cosa succederà tra Banco Bpm e Mps? Da Piazza Meda giurano da più di un anno (Affari ne aveva parlato qui il 6 ottobre scorso) che non vi sia nessun interessamento. Anzi, che in questo momento il risiko bancario non è nei piani della banca che si presenta all’assemblea confermando l’amministratore delegato Giuseppe Castagna e il presidente Massimo Tononi.

E lo stesso Tononi, a margine del consiglio di amministrazione, ha smentito qualsiasi interessamento per Mps. Eppure la voce continua a girare. Insistentemente. Il motivo è presto detto: la cosa funziona, sotto diversi punti di vista. Intanto perché garantisce la costruzione di un terzo polo bancario alternativo a Unicredit e Banca Intesa. Il che rappresenta sicuramente un buon viatico per un comparto che deve sì continuare un meccanismo di aggregazioni, ma non può ridursi ad avere due soli player e una pletora di “nani” che ruotano attorno. 

Poi, perché al Mef sono rimasti piuttosto scottati per come si sono bruscamente concluse le trattative tra Unicredit e Mps. E vorrebbero parlare con un altro interlocutore. Anche per Unicredit un dietrofront sarebbe complesso perché oggi la banca vale oltre 3 miliardi in Borsa, ha sistemato molti dei suoi problemi (rimangono ancora quelli legali, ma diciamo che è un bel vivere rispetto al passato) ed è quindi decisamente più appetibile e andrebbe quindi pagata, altro che dote da oltre 6 miliardi. Ma anche questo va analizzato, potrebbero esserci sorprese inattese e un improvviso ritorno di fiamma tra Unicredit e Mps. Via XX Settembre, oltretutto, non può continuare a rinviare sine die la cessione della banca di cui oggi detiene due terzi del capitale e che ha appena accompagnato nell’aumento di capitale da 2,5 miliardi. 

Infine perché Banco Bpm stesso deve decidere che cosa fare, se agire da aggregatore, con l’attuale management che dà le carte, oppure essere inglobato da un grande colosso come potrebbe essere, appunto, Unicredit e venire quindi, ovviamente, cannibalizzato. Piazza Gae Aulenti, che con la cura Orcel è tornata a essere tra i principali interpreti del comparto, ha ridotto i costi, ha aumentato gli stipendi e ha registrato un utile da record, potrebbe tornare a ronzare intorno a Piazza Meda. Lo fece a febbraio dello scorso anno, quando una trattativa lampo fallì perché la notizia venne fatta trapelare ad arte da qualcuno (un competitor? Qualcuno al Mef scottato dalla trattativa Mps?) e fu rilanciata in esclusiva dal Messaggero

Unicredit, Banco Bpm, Mps: il futuro del risiko bancario

Ecco: non anticipare i piani, non permettere fughe di notizie può rappresentare dirimente. Prendiamo Unicredit: la trattativa per acquisire Mps (chiedendo una dote da oltre 6 miliardi di euro) è stata talmente sbandierata che alla fine tutto si è risolto in un nulla di fatto dopo mesi di trattative. D’altronde, faceva notare un banchiere di altissimo livello ad Affaritaliani.it, “un affare del genere non può andare in porto se al tavolo non si siedono i due protagonisti, cioè Andrea Orcel e Mario Draghi”. E in effetti nessuno dei due si è mai spinto così in là. 

Così si torna all’inizio del discorso: Mps e Banco Bpm sarebbero sposi perfetti e, calcolatrice alla mano (ovviamente affari di questo genere non si fanno solo con l’aritmetica) potrebbero dar vita a un polo che vale circa 10 miliardi di euro in borsa. Ecco: un’operazione quindi che avrebbe tutti i crismi della fattibilità sulla carta. Ma che per qualche motivo non riesce a scaldare i cuori di Piazza Meda. Secondo Reuters, che ieri 28 febbraio ha rilanciato la notizia, “l'integrazione col Monte implica alcune problematiche per Banco Bpm tra cui la necessità di dover raccogliere capitali freschi, dicono le fonti”.

C’è però un dettaglio che spariglia ulteriormente le carte. Axa, che deteneva il 7,9% di Mps, ha deciso di uscire lunedì 27 febbraio, a borse chiuse, da Siena. Con una plusvalenza da 33 milioni. Per l’istituto assicurativo si tratta di una mossa strategica per monetizzare un investimento da 200 milioni profuso all’epoca dell’aumento di capitale. Ma anche qui le voci divergono: da una parte c’è chi ringrazia i francesi, che vendendo sul mercato (e non in blocco) le azioni ha rinvigorito il titolo e potrebbe spingere il Mef a "diluirsi" progressivamente avviando la privatizzazione. Dall’altra c’è chi teme che si tratti di un segnale di sfiducia, sia per quanto riguarda la cura Lovaglio, sia per quello che concerne il futuro della banca. Si vedrà, insomma. D’altronde, diceva Nietzsche, “nella realtà non avviene nulla che corrisponda rigorosamente alla logica”.
 

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