Butti ottiene le deleghe sulle telecomunicazioni: showdown sulla rete unica

Il sottosegretario all'innovazione tecnologica non ha mai fatto mistero di volere una rete unica, non verticalmente integrata e italiana: ci riuscirà?

di Marco Scotti
Economia

Alessio Butti ottiene le deleghe sulla rete unica

Non che ci fossero molti dubbi in proposito, ma ora è ufficiale: Alessio Butti, sottosegretario all’innovazione tecnologica, ha ricevuto da Giorgia Meloni le deleghe che riguardano le telecomunicazioni, la banda ultralarga, il cloud e i servizi 5G. Ma, soprattutto, sulla rete unica. E qui da qualche giorno si registra un nuovo, brusco stop dopo mesi di trattativa. Come riportato da Repubblica, ad esempio, la premier avrebbe deciso di fare piazza pulita degli accordi tra Cdp, Tim e Open Fiber (prorogati lo scorso 29 ottobre) per la realizzazione della famosa – e famigerata – rete unica.

Di più: secondo quanto può riferire Affaritaliani.it, il sottosegretario Butti, che non ha mai nascosto l’insofferenza per il piano che era stato messo in atto dal Governo Draghi, vuole sparigliare le carte. Fonti bene informate garantiscono che il Progetto Minerva – che prevede lo scorporo dell’azienda e la cessione di alcuni asset pregiati per abbattere il debito – può funzionare solo a patto che non vi sia un’opa di Cassa Depositi e Prestiti per rilevare Tim. Ma Butti aveva già dichiarato che l’obiettivo finale è uno solo: una rete unica, non verticalmente integrata e italiana. Tradotto: bisogna trovare il modo di allontanare i francesi di Vivendi da Tim. 

La quale oggi vale in Borsa meno di 5 miliardi (Kkr ne aveva garantiti 11 e, come può riferire Affaritaliani.it era pronto in sede di offerta vincolante ad arrivare anche sopra quella soglia). Vivendi, dal canto suo, continua a valutare la rete intorno a 31 miliardi, contro i 15 offerti da Cdp. Una distanza incolmabile, secondo alcuni. Ecco perché lo stesso ceo Pietro Labriola si trova in difficoltà. A proposito di comunicazione, sembra che Labriola abbia assoldato anche dei consulenti specifici per aiutarlo a gestire al meglio la situazione.  

Tim, chi per il dopo De Meo-Cadoret

L’azienda, tra l’altro, deve ancora trovare due nuovi membri per il consiglio di amministrazione. Il primo deve sostituire Luca De Meo, che ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla Renault. Il secondo dovrà arrivare al posto di Frank Cadoret, che ha abbandonato il suo posto “come un fulmine a ciel sereno” riferiscono fonti bene informate. Infine, c’è sempre il punto interrogativo intorno alla figura del presidente, Salvatore Rossi. Pare che Vivendi voglia portare in cda Massimo Sarmi non solo per riempire una delle due caselle vacanti, ma anche per sostituire l’ex-Dg di Bankitalia

A molti è sembrato che la puntata di Report dello scorso 7 novembre potesse rappresentare uno “sgarbo” nei confronti dell’attuale amministratore delegato che pure, essendo arrivato al timone dell’azienda solo il 21 gennaio di quest’anno, ha ben poche responsabilità, specialmente per quanto concerne l’accordo con Dazn per i diritti di ritrasmissione della Serie A. L’attacco alla Mint di Andrea Pezzi come “dominus” della pubblicità è apparso strumentale, non foss’altro perché alcune informazioni riportate sono inesatte, specie quelle sul bilancio dell’azienda. A quanto possiamo riferire, tra l’altro, ci sarà un’altra puntata a cui i giornalisti di Report stanno lavorando, questa volta per fare luce sulle difficoltà e le responsabilità di Open Fiber. 

Il rischio, dunque, è che si torni al famigerato “gioco dell’oca”: se Cdp non può acquistare Tim – perché dovrebbe farsi carico del debito dell’azienda, circa 32 miliardi lordi, un gravame difficile da giustificare per chi gestisce i risparmi postali degli italiani – e se la vendita della parte enterprise appare in salita, visto il “no” del cda dello scorso 8 novembre, Pietro Labriola dovrà per forza di cose inventare un “piano C”

Tim, Labriola lavora al Piano C

Quale? Su questo gli analisti si interrogano. A quanto risulta ad Affaritaliani.it l’idea potrebbe essere un beauty contest per una parte minoritaria della rete. Ma sarebbe facile preda di fondi stranieri che non garantirebbero l’italianità dell’infrastruttura. L’accordo saltato con Open Fiber e Cdp per la realizzazione della rete unica, oltretutto, riaccende la polemica intorno al ruolo della Cassa che è contestualmente azionista del 60% di Open Fiber e del 9,9% di Tim. 

Il nuovo sottosegretario Butti, che nelle scorse settimane ha sparato ad alzo zero contro l’operato del suo predecessore Vittorio Colao si trova a giocare una partita difficilissima. Da una parte ha un settore delle telecomunicazioni in difficoltà, stretto tra la formula aggressiva (ma vincente) delle low cost e i prezzi di gestione sempre più alti. Fonti bene informate riferiscono che persone vicine al dossier tlc abbiano risposto lapidarie, alle aziende che chiedevano una revisione al ribasso delle tariffe per le frequenze, lamentando che fossero tra le più alte d’Europa, “nessuno vi ha obbligato a firmare”. Dall’altra si trova nell’esigenza di far fare un notevole salto in avanti a tutto il comparto anche per poter gestire al meglio i soldi del Pnrr.

Ecco, la sensazione è che Butti e la sua squadra debbano veramente trovare una quadra a una situazione che si trascina da tempo. Basti ricordare quando, con l’allora amministratore delegato Flavio Cattaneo, Tim prima decise di non partecipare all’infrastruttura per le aree bianche insieme a Open Fiber, poi cambiò idea e iniziò a lavorare in parallelo all’azienda allora partecipata pariteticamente da Enel e Cdp. Risultato: una causa legale. 

Serve invertire rapidamente la tendenza, perché Tim – per anni centro d’eccellenza italiano – torni al ruolo che le compete. Magari un po’ “dimagrita” ma più sostenibile. 

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