Crisi Volkswagen, Sapelli: “Anche l'Italia rischia conseguenze disastrose”
L'economista Giulio Sapelli ad Affari: "C'è il rischio di una crisi senza precedenti. L'Europa deve riscrivere le regole della transizione"
Crisi Volkswagen, Sapelli: “Anche l'Italia rischia conseguenze disastrose”
Dentro la crisi Volkswagen: a pochi giorni dall'annuncio dell'intenzione di chiudere tre stabilimenti in Germania con il licenziamento di migliaia di lavoratori, giungono i risultati relativi al terzo trimestre. Che hanno fatto registrare una contrazione del 41,7% dell'utile operativo. Il peggior dato dalla pandemia Covid del 2020. La punta dell'iceberg del profondo malessere che attanaglia il settore automobilistico europeo, alle prese con le conseguenze della transizione all'elettrico. Con effetti che rischiano di propagarsi ben oltre i confini tedeschi. L'economista Giulio Sapelli ad Affaritaliani.it: "Anche per l'Italia le conseguenze saranno disastrose. C'è il rischio di una crisi senza precedenti. L'Europa deve riscrivere le regole della transizione".
Professore, c’è seriamente il rischio di una crisi rilevante? E secondo lei che tipo di conseguenze ci possono essere in Italia?
Penso che ci sia il rischio di una crisi senza precedenti e le conseguenze che ci possono essere in Italia sono gravissime. Siamo dei grandi terzisti e dei grandi fornitori di primissima qualità, anche nell’industria automobilistica internazionale. In primis in quella tedesca. Le conseguenze saranno disastrose. Si tenga conto che la Volkswagen continua ad essere una fondazione con un comitato di gestione. Quindi se il consiglio degli azionisti ha preso questa decisione vuol dire che si prevede un licenziamento di almeno settantamila lavoratori. Le conseguenze sono devastanti per questa follia della transizione green mai gestita con le imprese. I nodi vengono al pettine.
Utili al -42% ed è il peggior risultato dalla pandemia del 2020. Crede che questa transizione stia soltanto portando effetti negativi?
Sì, ma soprattutto è un fallimento manageriale e degli azionisti. Perché i manager dovevano capire prima che questa situazione sarebbe potuta avvenire. Ma è in primo luogo il fallimento dell’Unione Europea. L’Ue ha infatti questa ideologia. Il fatto è che la Confindustria europea si è lasciata irretire in questa morsa e non ha combattuto già 10 anni fa, quando venivano avanti queste idee sulla transizione. Bisognava cogestire la transizione.
Oltre all’Unione Europea, si possono trovare anche altri responsabili di questo fallimento?
Sì, i manager sono i principali responsabili di questa crisi insieme agli azionisti. Gli azionisti dovevano avere contezza di questa cosa molti anni fa. Invece se ne accorgono adesso e fanno pagare le spese ai lavoratori. Aggiungo che questo licenziamento avviene dopo che hanno distribuito miliardi di dividendi. Questi signori che prendono i dividendi dovevano protestare contro l’Unione Europea. Così come anche l’amministratore delegato. Cosa hanno fatto invece? Nulla.
Lei pensa quindi che Volkswagen sia stata vittima di una transizione forzata?
Vittima sicuramente no, perché chiaramente si sapeva già anni fa che questa transizione ecologica non cogestita con i sindacati e i vertici non sarebbe andata bene. Era prevedibile.
Professore, c’è qualche azione credibile che si può attuare per risolvere questa situazione ed evitare l’effetto domino?
Certo, c’è da ritornare indietro e fare in modo che questo termine per legge venga abolito e si cancellino tutte le disposizioni finora vigenti dell’Unione Europea. Si apre quindi un tavolo di trattativa tra la Confindustria europea, la Confederazione Europea dei sindacati e la Commissione Europea per riscrivere le regole della transizione. Questo non vuol dire che non si deve fare la transizione, ma deve essere codeterminata e cogestita con le imprese.