Da Di Maio a Scannapieco: ecco quanto pesa (ancora) Draghi

Se dipendesse dal governo di centro-destra è probabile che si avvierebbe un avvicendamento in Via Goito. Ma ci sono molte partite complesse

di Marco Scotti
Economia

Da Di Maio a Scannapieco: il peso di Mario Draghi

C’è un filo rosso, sottile, che lega Luigi Di Maio a Dario Scannapieco. Due persone con storie politiche e lavorative diametralmente opposte che si trovano inaspettatamente accomunate nel nome dell’indistruttibile Mario Draghi. Il quale, dopo aver lasciato Palazzo Chigi, rimane potentissimo e non si dimentica delle persone che più gli sono state vicine in questi anni. Lo stesso Di Maio, partito come “rottamatore” della politica, ha rapidamente dismesso i panni del rivoluzionario e ha vestito i panni del post-democristiano (come testimonia l’accordo fallimentare con Tabacci) e per questo è stato premiato da Draghi con un posto in Europa come Commissario al Golfo.

Luigino ha mostrato fedeltà cieca all’esecutivo dell’ex presidente della Bce, tanto da aver portato avanti la prima scissione del Movimento 5 Stelle. Ed è stato ricompensato pur essendo rimasto fuori da Montecitorio. Che c’entra Scannapieco? Con Di Maio nulla, ma con Draghi moltissimo. Fu l’ex premier a volerlo in Via Goito come amministratore delegato, al posto di Fabrizio Palermo, chiedendogli di abbandonare la vicepresidenza della Bei.

Che la Cassa faccia gola al governo di centro-destra è ovvio: dovrà gestire buona parte dei fondi del Pnrr e si troverà a dover nominare i nuovi vertici di Eni, Poste e Terna (mentre Enel e Leonardo saranno appannaggio del Ministero dell’Economia). Ecco quindi che avere un controllo diretto sulle nomine di queste tre partecipate diventa ancora più importante. E, come Affaritaliani.it aveva già anticipato, c’è qualcuno che preme per mettere un uomo forte in Via Goito. Certo, gli appetiti di Fratelli d'Italia sono meno "voraci" di quelli dei pentastellati, che con Palermo (e non solo) lanciarono un'opa forte sui centri di potere in Italia.

Tant’è che nei giorni che hanno preceduto la nomina del nuovo esecutivo si era sparsa la voce che Dario Scannapieco sarebbe potuto diventare ministro dell’Economia o dello Sviluppo Economico. Una sorta di “risarcimento” a Mario Draghi che avrebbe permesso l’avvicendamento alla Cassa, magari con il fidatissimo – per Giorgia Meloni – Maurizio Leo. La premier, d’altronde, ha un problema: le serve accreditarsi in Europa. Le mosse di questi giorni, la rottura con la Francia sul tema migranti e con la Germania, non sembrano il viatico migliore per un G20 di Bali in cui la Meloni, al momento, ha in agenda solo l’incontro con Joe Biden.

Serve quindi che Draghi faccia da padre nobile di Giorgia Meloni in Europa. In cambio di che cosa? Possibile pensare che Sergio Mattarella non completerà il suo secondo settennato e, di conseguenza, Draghi potrebbe tornare in corsa dopo la “facciata” del gennaio 2022. Basta? Non proprio. In questo “do ut des” l’ex capo della Bce chiede un altro favore alla Meloni: che si ricordi degli amici. Se, dunque, Scannapieco dovesse essere congedato dalla Cdp, si dovrebbe trovare per lui un altro ruolo di peso in Italia o in Europa. Magari al timone di una partecipata o, in alternativa, in qualche centro di potere di Bruxelles.  
 

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