Dazi Usa al 10%: gravi danni all'Italia. Ma il peggio lo vivranno proprio gli americani
Un dazio generalizzato aumenterebbe i prezzi per i consumatori e alimenterebbe l’inflazione americana, già alta nel 2024 e una contrazione del Pil dell'1,4%
Donald Trump
Trump vuole i dazi Usa al 10%, ma gli scenari non promettono bene per gli Usa
Se gli Stati Uniti imponessero un dazio del 10% sui beni importati dall’Europa, gli effetti sarebbero devastanti per l’Italia e anche per l'Europa, ma a ben vedere, gli americani rischierebbero di pagare un prezzo ancora più alto. Gli Usa sono il secondo mercato per l’export italiano, con un valore di 66,4 miliardi di euro nel 2024, pari al 10,7% del totale.
Negli ultimi anni, il Made in Italy ha conquistato sempre più terreno, crescendo del 58,6% tra il 2018 e il 2023. Settori come farmaceutica (+19,5%), alimentari e bevande (+18%) e apparecchi elettrici (+12,1%) sono stati i principali motori di questa espansione. Ma in prospettiva di dazi del 10% o 20%, le esportazioni italiane verso gli USA potrebbero calare rispettivamente del 4,3% o del 16,8 secondo i dati di Confartigianato.
In questo contesto le piccole e medie imprese italiane, già vulnerabili, sarebbero le più colpite e soprattutto settori chiave come moda, mobili, metalli, gioielleria e occhialeria, che nel 2024 hanno esportato beni per 17,9 miliardi di euro, subirebbero le perdite più pesanti. Ma le ripercussioni non si fermerebbero qui: anche gli americani potrebbero subire un contraccolpo non indifferente. Gli Stati Uniti hanno una bilancia commerciale in deficit con l’Europa, con importazioni che superano di gran lunga le esportazioni, soprattutto in settori cruciali come macchinari, veicoli e prodotti chimici. Un dazio generalizzato aumenterebbe i prezzi per i consumatori e alimenterebbe l’inflazione, già alta nel 2024.
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E da un lato Trump, con l'idea di un dazio del 10%, punta a ridurre il deficit commerciale con l’Europa e altri partner, dall'altro potrebbe rischiare di essere più un’arma negoziale che una reale intenzione politica. Durante il suo primo mandato, il tycoon aveva già introdotto tariffe del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio, ma si era scontrato con forti opposizioni interne dal Congresso ai gruppi industriali. Ora le conseguenze economiche di un simile protezionismo sarebbero non poco rilevanti, secondo un'analisi di MorningStar, un aumento dei dazi porterebbe a una contrazione dell’1,4% del PIL reale degli Stati Uniti. Inoltre, una guerra commerciale con partner strategici come Canada e Messico, accusati da Trump di traffici illeciti e di favorire l’immigrazione, potrebbe compromettere filiere industriali integrate, come quella dell’automotive.
Non solo: Canada e Messico, che forniscono il 63% del petrolio importato dagli Usa, potrebbero rispondere con altrettante contromisure, facendo lievitare i prezzi del greggio e complicando ulteriormente la politica energetica americana. Paradossalmente, la Cina – obiettivo primario delle politiche protezionistiche statunitensi – sarebbe il paese meno impattato, grazie alla sua capacità di diversificare i mercati di sbocco. In definitiva, un dazio del 10% rischierebbe di essere un boomerang per Trump: tutti i paesi ci perderebbero, ma gli Stati Uniti rischierebbero di pagare il prezzo più alto tra inflazione, costi più alti per le materie prime e una contrazione della crescita economica.