Elezioni in Germania e crisi economica: ecco perché la locomotiva d'Europa non riparte più

Nel 2024, il PIL tedesco si è contratto dello 0,2%, dopo il -0,3% del 2023 e per il 2025 si prevede una crescita attorno allo 0,4%

di redazione economia
Economia

Germania in affanno: i veri motivi del declino economico alla vigilia delle elezioni

Tre anni fa, quando la coalizione semaforo (SPD, Verdi e FDP) saliva al governo, la Germania sembrava pronta a inaugurare una nuova stagione di crescita. Oggi, quell’ambizione è svanita. La locomotiva d’Europa è deragliata in recessione per il secondo anno consecutivo, minacciata da crisi industriale, export in declino e paralisi politica.

Nel 2024, il PIL tedesco si è contratto dello 0,2%, dopo il -0,3% del 2023. Un doppio scivolone che non si vedeva dai primi anni Duemila. L’economia è ferma da cinque anni, e mentre il mondo ridefinisce le proprie filiere produttive e le guerre commerciali riscrivono le regole del gioco, il settore manifatturiero, da sempre il cuore pulsante della potenza tedesca, è in sofferenza. Il valore aggiunto lordo è sceso del 3% su base annua, con un crollo ancora più marcato (-3,8%) nell’edilizia, strangolata dai tassi d’interesse alle stelle e dai costi esplosivi delle materie prime.

L’auto, simbolo per eccellenza del successo tedesco, è il termometro della crisi. A dicembre, la produzione è crollata del 10% rispetto al mese precedente. Volkswagen, Bmw e Mercedes arrancano di fronte alla concorrenza cinese, incapaci di tenere il passo nella corsa all’elettrico. Mentre Pechino inonda il mercato con modelli più economici e avanzati, Berlino si impantana tra normative ambientali stringenti e un mercato interno asfittico. Il rischio? Tagli agli investimenti, al personale e chiusura degli stabilimenti.

Anche le esportazioni, per decenni la spina dorsale dell’economia tedesca, danno segnali allarmanti. Nel 2024 sono calate dell’1,3%, fermandosi a 1.555 miliardi di euro. A dicembre si è registrato un debole rimbalzo (+2,9%), ma nulla in confronto agli anni duranti i quali Berlino ha prosperato vendendo macchinari, auto e prodotti chimici nel mondo. 

Le cause della crisi sono molteplici e intrecciate. Il costo dell’energia resta alto, la Bce mantiene i tassi elevati e il mercato interno è in stagnazione. Gli investimenti fissi lordi sono scesi del 2,8%, mentre i consumi privati arrancano a +0,3%, troppo poco per rilanciare la crescita. La competitività tedesca è in calo e Berlino non sembra avere una strategia chiara per invertire la rotta. E il futuro, per ora, non promette nulla di buono.

Per il 2025 si prevede una crescita anemica, attorno allo 0,4%, ben lontana dai livelli pre-pandemia. La politica si prepara a giocarsi la partita sul terreno economico: la CDU-CSU spinge per tagli fiscali a sostegno dell’industria, i socialdemocratici puntano su incentivi per il “Made in Germany”, i Verdi insistono sulla transizione ecologica, mentre l’AfD cavalca il malcontento accusando le politiche ambientali europee di aver messo in ginocchio l’auto tedesca.

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Ma un punto mette tutti d’accordo: la dipendenza energetica dalla Russia è stato un errore strategico colossale. Berlino, che per anni ha goduto di gas a basso costo ignorando i rischi geopolitici, ora si affanna a diversificare le forniture e a puntare sul GNL. Ma la transizione sarà lunga e costosa, e questa volta, nessuno sembra avere la ricetta giusta per rimettere in moto la macchina tedesca.

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