Fast fashion cinese: Shein e Temu consumano più petrolio di navi e aerei

Il 90% dell'incremento della domanda di petrolio in Cina tra il 2021 e il 2024 è attribuibile alle materie prime chimiche impiegate per la produzione

di Redazione Economia
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L'invisibile inganno del fast fashion: come Shein e Temu alimentano il mercato del petrolio

Nell'era digitale, il fast fashion è diventato sinonimo di accessibilità e tendenza, e all'interno di questo settore, i giganti cinesi Shein e Temu si sono guadagnati una reputazione non indifferente per offrire abbigliamento alla moda, a prezzi irrisori. Eppure dietro le vetrine virtuali e le offerte allettanti, si nasconde un lato oscuro della moda a basso costo che pochi osano esplorare, o meglio, che molti preferiscono ignorare.

Come riportato dal Sole24 Ore, negli ultimi anni le influencer sui social media hanno completamente rivoluzionato il rapporto tra le aziende e il loro pubblico, e da questo Shein e Temu ne hanno saputo trarre il massimo vantaggio. Collaborando con migliaia di influencer su piattaforme come Instagram e TikTok, i marchi hanno creato un vero e proprio esercito di promotori della proprio moda.

Tuttavia, anche di fronte al gigantismo economico di colossi come Shein e Temu, c'è un dettaglio spesso ignorato ma vitale: il fast fashion si nutre di petrolio. Il poliestere, pilastro dell'abbigliamento prodotto da queste aziende, ha radici nella risorsa fossile. Questo ciclo di produzione non solo contribuisce pesantemente alle emissioni di anidride carbonica, ma alimenta anche il disastro delle microplastiche nell'ambiente.

Già il Parlamento europeo aveva riconosciuto le responsabilità dell'industria della moda di una percentuale significativa delle emissioni globali di anidride carbonica e con il boom del fast fashion, guidato da aziende come Shein e Temu, si è esacerbato ulteriormente questa crisi ambientale.

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Shein, in particolare, ha saputo capitalizzare su questa tendenza. Fondato come un'azienda di abiti da sposa, si è trasformato rapidamente in un gigante dell'abbigliamento online. I suoi profitti sono schizzati alle stelle, rendendolo uno dei marchi più potenti nel mercato del fast fashion e nel 2023 tramite il suo sito sono state vendute merci per oltre 45 miliardi di dollari. Ma questo successo ha un costo, soprattutto ambientale. L'industria della moda si è rivelata responsabile del 10% delle emissioni globali di anidride carbonica, superando addirittura le emissioni generate dai voli internazionali e dalle spedizioni marittime messe insieme.

Pertanto, aziende come Shein e Temu stanno contribuendo in modo significativo alla crescente domanda di petrolio in Cina, spingendo diverse raffinerie private come Rongsheng Petrochemical e Hengli Petrochemical a investire miliardi nella costruzione di nuovi impianti specializzati nella produzione di prodotti chimici come l'etilene. Secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia, il 90% dell'incremento della domanda di petrolio in Cina tra il 2021 e il 2024 è attribuibile alle materie prime chimiche, mentre i consumi di benzina e carburante per aerei rimangono relativamente stabili.

La produzione cinese di fibre sintetiche è in rapida crescita, aumentando di 21 milioni di tonnellate tra il 2018 e il 2023, sufficiente per produrre oltre 100 miliardi di magliette all'anno. Molte di queste magliette sono vendute a meno di 5 euro sui siti di fast fashion.

Nel frattempo, in luoghi remoti come il deserto di Atacama nel nord del Cile e lungo le spiagge del Ghana, le discariche a cielo aperto crescono a dismisura, accumulando magliette, jeans e altri indumenti invenduti su centinaia di acri di terra. In mezzo alla frenesia dell'e-commerce, questa è la cruda realtà della nostra società consumistica, che spinge sempre più le risorse del nostro pianeta oltre i limiti.