Finanza, governo assente dalle partite che contano

I salotti della finanza guardati con sospetto dall'esecutivo

di Marco Scotti
Giancarlo Giorgetti e e Giorgia Meloni
Economia

L’insostenibile leggerezza del governo per le partite finanziarie

Se c’è un tema su cui questo governo non si sta spendendo granché è quello delle grandi partite finanziarie. Che non sono soltanto gossip per addetti ai livori (copyright Dagospia) ma temi che indirizzano il futuro economico del nostro Paese. Senza quindi entrare con i piedi nel piatto di aziende private, a volte perfino quotate in Borsa, manca ogni tanto quella voce che gli esecutivi passati non hanno mai fatto mancare. Il liberismo, il laissez-faire, il doveroso allentamento dei lacci e dei lacciuoli sono iniziative meritorie che però in questo momento storico si scontrano con un eccesso di silenzio.

Partiamo da Mps. La scelta di vendere un altro 12,5%, dopo la procedura di novembre, ha ridotto al 26,73% la quota nelle mani del Mef. Grazie a queste due operazioni il governo ha incassato 1,6 miliardi, rientrando totalmente dell’investimento profuso per l’aumento di capitale. Il lavoro di Luigi Lovaglio e della sua squadra ha funzionato talmente bene che oggi Siena ritrova l’utile (due miliardi) e annuncia che metà dei ricavi del 2024 verrà distribuito agli azionisti.

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E dunque, il governo incassa subito, ma rinuncia a una fetta importante di dividendi. Ma soprattutto: la moral suasion in atto da mesi con BancoBpm non sembra sortire i frutti sperati. Giuseppe Castagna rimane sulle sue posizioni, non vuole scendere a patti anche se è ovvio che il calo dei tassi nel 2024 dovrà costringere le banche a trovare altre formule di remunerazione. Andrea Orcel, che ha riportato Unicredit a triplicare la sua capitalizzazione in Borsa e ha inondato gli azionisti di dividendi, ha dichiarato che l’M&A va bene, purché renda almeno il 15%.

Bper, che presto avrà un nuovo amministratore delegato, sarebbe un partner eccellente per Siena. Ma nella famosa conferenza stampa-show di Carlo Cimbri non è sembrato che ci fosse grande entusiasmo. Rimane, come Affaritaliani.it aveva ventilato addirittura nel 2022, la possibilità dell’opzione “stand-alone”. Cosa che è adesso ancora più percorribile e senza ulteriore iniezione di capitale.

Ma il governo tace. E ha scelto di vendere un pezzo di Mps scendendo sotto la quota di “sopravvivenza” in un’assemblea straordinaria. La banca è contendibile, verissimo, ma la scelta sembra poco lungimirante. Si poteva vendere, in blocco, strappando cifre più alte. Oppure aspettare e vedere che cosa sarebbe successo. L’accordo con l’Europa è di liberarsi della partecipazione entro la fine del 2024. E, dopo la vendita massiccia di novembre, una proroga non sarebbe stata un’utopia.

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Ma non c’è solo Siena. Perché il governo non prende palla anche nelle altre tematiche di rilievo? La Fondazione Crt vende la propria quota in Banco Bpm, entra in Generali e nessuno prova a chiedere conto a Fabrizio Palenzona di quali siano le sue intenzioni, seppur nel doveroso e necessario rispetto dell’autonomia decisionale di manager e aziende private. Si realizza un Ddl Capitali che è un viatico importante per permettere di cambiare lo status quo, e quindi si entra prepotentemente nelle partite finanziarie, ma poi si sceglie di darsela a gambe su altre.

Ancora: perché, dopo il maldestro e populista tentativo di far pagare alle banche una tassa sugli extraprofitti (con il risultato noto a tutti di aver fatto aumentare le riserve degli istituti di credito e di non aver ottenuto neanche un euro in più dalle imposte) non si è cercato di mettere un punto fermo nella partita sul risiko degli istituti? Ai tempi della maxi-operazione tra Ubi e Intesa Sanpaolo, intervenne il gruppo di coordinamento per l’esercizio dei poteri speciali, meglio noto come comitato golden power.

Insomma: se si registra grande attivismo nelle partite industriali, dall’ex-Ilva fino ad Ita, lo stesso non può dirsi della finanza. Forse guardata con sospetto da una classe dirigente nuova e poco avvezza ai salotti. Che rimangono, seppur un po’ scoloriti rispetto ai tempi di Enrico Cuccia, un luogo di potere che deve essere frequentato sempre di più. Ricordando che la finanza non può più essere vista soltanto come il luogo dei poteri forti. Perché oggi il governo, di quei poteri forti è parte integrante.

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