Generali, da Trieste trapela ottimismo. I “pattisti” in lieve vantaggio
Generali, mancano sette giorni all’assemblea
Fonti accreditate riferiscono di un Philippe Donnet più positivo
Mancano sette giorni al 29 aprile, quando l’assemblea di Generali deciderà il futuro - non soltanto a breve termine - dell’azienda triestina. Gli schieramenti sono arcinoti: da una parte il trio Caltagirone-Del Vecchio-Crt, forte di una dotazione di azioni tutta da calibrare, ma di dimensioni considerevoli. L’ultima rilevazione sul sito di Generali parla di un 9,49% per il costruttore romano e di 6,59% per l’imprenditore di Agordo. Ma fonti accreditate parlano di una possibile salita di Del Vecchio fino (almeno) all’8,2%, con la possibilità di arrivare al 9,9% dopo lo scioglimento del patto di consultazione con Crt. A sua volta la fondazione torinese detiene una quota dell’1,23%. C’è quindi la possibilità che in questi ultimi giorni i “pattisti” arrivino addirittura sopra al 20%.
C’è poi da considerare la posizione della famiglia Benetton: gli imprenditori trevigiani, impegnati con l’opa di Atlantia, formalmente non hanno mai detto da che parte volessero stare, ma hanno sempre fatto trapelare un certo malcontento per la gestione Donnet e sarebbe quindi naturale pensare che siano orientati a sostenere la lista di Caltagirone, con Claudio Costamagna presidente e Luciano Cirinà amministratore delegato.
Dall’altra parte della barricata ci sono Mediobanca (che ha il 17,2% dei diritti di voto dopo aver ricevuto in prestito il 4,41% del capitale del Leone) e la De Agostini che ha già messo in vendita il suo 1,44% della compagnia di assicurazioni ma che andrà all’Assemblea con l’intero pacchetto e lo metterà a disposizione della lista del cda.
Dunque sulla carta i “pattisti” godono di un lieve vantaggio numerico. Ma il restante 60% (e anche più) del capitale che cosa intende fare? Oggi è arrivata l’adesione alla lista del consiglio uscente da parte di Norges Bank, il fondo sovrano norvegese che detiene una quota compresa tra l’1,15 e l’1,5% di Generali.
Altri investitori istituzionali come Fondazioni Casali, Union Investment, Florida SBA, British Columbia Investment Management, e California Public Employees Retirement System (che nell'ultima assemblea aveva lo 0,55%) hanno già comunicato la loro intenzione di votare per la lista del cda.
I proxy advisor – cioè i “consiglieri” dei fondi – hanno già espresso il loro parere per la continuità. Rimane, si fa per dire, solo l’incognita del retail, che detiene una quota complessiva del 22,25%. Tradizionalmente non si sono mai segnalati particolari presenze in assemblea, ma è anche vero che si tratta di un’occasione particolarmente significativa.
Per questo motivo, a Trieste iniziano davvero a respirare dopo mesi passati in apnea. Fonti accreditate riferiscono di un Philippe Donnet più positivo e così lo sarebbero anche gli altri membri del consiglio di amministrazione uscente che sentono la vittoria per venerdì prossimo più vicina di quanto non fosse nei mesi scorsi.
C’è però un ultimo punto che, in caso di vittoria della lista del cda uscente, dovrà per forza di cose essere rafforzato: quello del M&A in Italia e in Europa. L’accusa di “immobilismo” mossa dal duo Calta-Del Vecchio non è del tutto destituita di fondamento. Per questo, trova conferme l’anticipazione del Sole 24 Ore che vorrebbe Generali, dopo Axa e Crédit Agricole, interessata al ramo polizze di Bpm.